Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/62

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capitolo primo. 35

gran disperazione della cuoca, brontolando sempre contro i gatti che gli s’impigliavano nelle gambe. Ma costui essendo sordo e non piacendogli troppo di ciarlare, non entrava per nulla nella conversazione. Unica sua fatica era quella di grattare il formaggio. Gli è vero che colla flemma naturale tirata ancor più in lungo dall’età, e collo straordinario consumo di minestre che si faceva in quella cucina, una tale fatica lo occupava per molte ore del giorno. Mi pare ancora d’udire il rumore monotono delle croste menate su e giù per la grattugia con pochissimo rispetto delle unghie: in premio della qual parsimonia il vecchio Martino aveva sempre rovinate e impiastricciate di ragnateli le punte delle dita. Ma a me non istarebbe il prendermi beffe di lui. Egli fu, si può dire, il mio primo amico, e se io sprecai molto fiato nel volergli scuotere il timpano colle mie parole, n’ebbi anche, per tutti gli anni che visse meco, una tenera ricompensa d’affetto. Egli era quello che mi veniva a cercare, quando qualche impertinenza commessa mi metteva al bando della famiglia: egli mi scusava presso monsignore, quando invece di servirgli la messa scappavo nell’orto ad arrampicarmi sui platani in cerca di nidi; egli testimoniava delle mie malattie, quando il piovano davami la caccia per le lezioni di dottrina; e se mi cacciavano a letto, era anche capace di prender l’olio o la gialappa in mia vece. Insomma fra Martino e me eravamo come il guanto e la mano; e se anco entrando in cucina non giungeva a discernerlo pel gran buio che vi regnava in tutta la giornata, un interno sentimento mi avvertiva se egli vi era, e mi menava diritto a tirargli la parrucca o a cavalcargli le ginocchia. Se poi Martino non vi era, tutti mi davano la baia perchè restavo così mogio mogio come un pulcino lontano dalla chioccia, e finivo col darla a gambe indispettito, a menochè una raschiata del signor Conte non mi facesse prender radici nel pavimento. Allora io stava duro duro che