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40 le confessioni d’un ottuagenario.

bisognava stare in castello pareva sempre sulle spine: e credo che se ora che è morto gli si volesse dare un vero Purgatorio, non occorrerebbe altro che rimetterlo a vivere in corpo d’un maestro di casa. Nessuno più di lui era capace di durare seduto le ore colle ore senza alzare gli occhi o batter becco quando altri lo osservava; ma del pari possedeva un’arte miracolosa di sparir via senza esser veduto, anche in una compagnia di dieci persone. Soltanto quando egli veniva in coda al piovano di Teglio qualche barlume di dignità sinodale gli rischiarava la fisonomia: ma ben si accorgeva che era uno sforzo per tener dietro al superiore, e in quelle volte era tanto occupato di tenere a mente la sua parte che non ascoltava nè vedeva più, ed era capace di mettere in bocca bragie per nocciuole, come il fattore per iscommessa ne avea fatto l’esperimento. Il signor Ambrogio Traversini, fattore e perito del castello, era il martello del povero cappellano. E tra loro due correvano sempre quelle burle, quelle farsette che erano tanto in moda al tempo andato, e che nei crocchi di campagna tenevano allora il posto della lettura dei giornali. Il cappellano, com’era di dovere, pagava sempre le spese di cotali trastulli; e ne veniva rimeritato con qualche invito a pranzo, ricompensa più crudele dello stesso malanno. Senonchè il più delle volte la preoccupazione di quegli inviti gli metteva addosso la quartana doppia, ed egli così non avea bisogno di bugie per iscusarsene. Quando poi gli veniva fatto di metter piede al di là del ponte levatoio, nessun uomo, credo, si sentiva più felice di lui, ed era questo il compenso dei suoi martirii. Saltava, correva, si stropicciava le mani, il naso, i ginocchi; prendeva tabacco, bisbigliava giaculatorie, passava il bastoncino da un’ascella all’altra, parlava, rideva, gesticolava con tutti, e accarezzava ogni persona che gli capitasse sotto mano, fosse un ragazzo, una vecchia, un cane o una giovenca. Io pel primo ebbi la glo-