Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/70

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capitolo primo. 43

pallido e taciturno di Fossalta, il signor Lucilio Vianello, sono i soli che fin d’allora mi rimangono in memoria di quella ciurma semiplebea. Fra i cavalieri, un Partistagno, parente forse di quello del messer Grande; mi sta ancora dinanzi colla sua grande figura ardita e robusta, e un certo altiero riserbo di modi che assai contrastava colla avvinazzata licenza dei più. E fin d’allora mi ricordo aver notato fra costui e il Vianello certi sguardi di sbieco, che non dinotavano esser fra loro molto buon sangue. E tuttavia erano i due che meglio avrebbero dovuto intendersela fra loro, essendo tutto il resto un’egual feccia di spensierati e di furbacchioni.

Quando io cominciai ad aver ragione di me stesso e a far istizzire i polli nel cortile di Fratta, l’unico figliuolo maschio del conte era già da un anno a Venezia presso i padri Somaschi ov’era stato educato suo padre: perciò di lui non mi rimane memoria, riguardante quel tempo, se non per qualche scappellotto ch’egli m’avea dato prima di partire, per farmi provare la sua padronanza; e sì che allora io era un bambino che a stento rosicchiava il pane. Il vecchio Martino pigliò fin d’allora le mie difese; e mi sovviene ancora d’una tirata d’orecchie da lui data di soppiatto al padroncino, per la quale questi tirò giù strillando i travi della casa: e Martino n’ebbe dal conte una buona lavata di capo. Fortuna ch’era sordo!

Quanto alla Contessa, ella non compariva mai in cucina se non due volte il giorno, nella sua qualità di suprema direttrice delle faccende casalinghe; la prima il mattino per distribuire la farina, il butirro, la carne e gli altri ingredienti bisognevoli al vitto della giornata; la seconda dopo l’ultima portata del pranzo a far la parte della servitù delle vivande rimandate dalla mensa padronale, e a riporre il resto in piatti più piccoli per la cena. Ella era una Navagero di Venezia, nobildonna lunga, arcigna e di breve discorso,