Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/98

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capitolo secondo. 71

o lo slacciargli il tovagliolo, o dargli delle gran tambussate nella schiena quando un boccone minacciava di strangolarlo. La Pisana, s’intende, non pranzava alla tavola, chè l’era onore serbato alle ragazze dopo gli anni del monastero. Ella mangiava in una dispensa fra il tinello e la cucina colle cameriere. Quanto a me rosicchiava gli ossi in cucina coi cani, coi gatti e con Martino. Nessuno si era mai sognato di dirmi dove fosse il mio posto e quale la mia posata; sicchè il posto lo trovava dovunque, e invece di posata adoperavo le dita. Mi ricredo. Per mangiar la minestra la cuoca mi dava una certa mestola, che ebbe il vanto di allargarmi la bocca due buone dita. Ma dicono che il sorriso ne piglia miglior espressione, e perchè io ebbi sempre denti candidi e sani, non voglio lagnarmene. Siccome io e Martino non entravamo in conto nè fra la gente che desinava in tinello, nè fra la servitù a cui la contessa veniva a far la parte dopo tavola, così noi avevamo il privilegio di raspar le pignatte, le padelle ed i pentoli; e di ciò si costituiva il nostro pranzo. In cucina, appeso ad un gancio stava sempre un cesto pieno di polenta, e quando le raspature non mi saziavano, bastava che alzassi un braccio verso la polenta. Martino m’intendeva: me ne faceva abbrustolire una fetta; e addio malanni! — Il cavallante e il sagrestano, che avevano moglie e figliuoli, non mangiavano di consueto presso i padroni; e così pure Mastro Germano il quale faceva cucina di per sè; e si condiva certe pietanze tutte sue, che io non ho mai capito come palato umano le potesse sopportare. Non era anche raro il caso ch’egli acchiappasse uno di quei moltissimi gatti che popolavano la cucina dei conti, e ne faceva galloria in umido e arrosto per una settimana. Perciò, benchè egli m’invitasse sovente a pranzo, io mi guardava bene di accettare. Egli sosteneva che il gatto ha una carne squisita e saporitissima, e che l’è ottimo rimedio contro molte malattie: ma queste