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152 le confessioni d’un ottuagenario.


di vederla in istretto colloquio con una svergognata di quella natura, dalla quale avea ricevuto offese imperdonabili; e che non ci vedeva il perchè la si fosse fermata a cinguettare sull’uscio di casa con tutto l’interesse che avevamo a non farci osservare. Ella mi rispose che si era fermata senza pensarci, e che in quanto alla Rosa le avea fatto compassione il vederla coperta di cenci e intristita in viso per la miseria. Anzi l’avea pregata di venirla a trovare appunto per questo, che sperava in qualche modo di sollevarla, e del resto se l’era pentita de’ suoi torti, ell’era obbligata a perdonarle; e le perdonava in fatti, anche perchè essa le avea protestato di non aver mai inteso di ingiuriarla, e che avea sempre adoperato a fin di bene e dietro istigazione della signora contessa. La Pisana pareva tanto persuasa di quest’ultimo argomento, che le rimordeva quasi d’aver cacciato la Rosa, e pigliava sulla propria coscienza tutte le incomodità che costei diceva aver sofferto per la sua sdegnosa severità. Indarno io me le contrapposi dimostrandole che certi torti non si possono mai scusare, e che l’onore è forse la sola cosa che si abbia diritto e dovere di difendere, anche a costo della vita propria e dell’altrui. La Pisana soggiunse che non la pensava così, che in cotali materie bisogna badare al sentimento, e che il sentimento suo la consigliava di riparare i mali involontariamente cagionati a quella poveretta: pertanto mi pregò di darle mano in questa buona opera, concedendo per primo punto alla Rosa una camera della casa per abitarvi. Sopra questa domanda io mi diedi a gridare, ed essa a gridare ed a piangere. Si finì con questo accordo, che io avrei pagato la pigione della Rosa ove la dimorava allora, e soltanto dopo questa promessa la Pisana fu contenta di non tirarmela in casa. Fu quella la prima volta che si dimenticò l’amore, e tornarono i nostri temperamenti a trovarsi un po’ ruvidi assieme. Mi coricai con molti cattivi presentimenti, ed an-