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210 le confessioni d'un ottuagenario.

francesi volessero stancheggiarlo, menarlo per le lunghe, acciocchè s’afforzasse anche della sua legione la forza cisalpina. Napoletano anzi tutto, di spiriti ardenti e vendicativi, figuratevi se imbizzariva per questo sospetto!.... Credo che avrebbe intimato la guerra ai Francesi, se nulla nulla lo molestavano. Finalmente arrivò l’assenso tanto sospirato. Ai primi di marzo doveva la legione muoversi alla volta di Roma, a raggiungervi l’esercito franco cisalpino per le imprese future. Non s’avea più tempo da confidare nella fortuna. L’Aglaura mi restava sulle braccia, e dovea partire senza saper nulla della Pisana e di mio padre. Se il sentimento dell’onore, l’amore della patria e della libertà non fossero stati in me molto potenti, certo avrei fatto qualche grosso sproposito. Intanto romoreggiava fra le nuvole la gragnuola che dovea pestarmi il capo, ed io non m’accorgeva di nulla.

Disperato del lungo silenzio della Pisana e degli Apostulos, io aveva scritto ad Agostino Frumier, pregandolo per la nostra vecchia amicizia a volermi dar contezza di persone, che mi stavano tanto a cuore. Di questa lettera io non avea fatto cenno ad alcuno, perchè sì Lucilio che gli altri veneziani l’avevano molto col Frumier, e lo consideravano come un disertore. Contuttociò la spedii, poichè non sapeva cui meglio rivolgermi; e aspetta aspetta, io aveva già perduto ogni speranza quando me ne capitò la risposta. Ma indovinate mo chi mi scriveva?... Sì, Raimondo Venchieredo. Certo il Frumier, adombratosi di mantenere corrispondenza con un esule, con un proscritto, avea passato l’incarico a quell’altro: e Raimondo poi mi scriveva, che tutti a Venezia si maravigliavano di sapermi ignaro della Pisana da tanto tempo, egli in primo luogo; che s’avevano ottime ragioni per crederla a Milano con mio assenso, consenso e compartecipazione dei frutti; che avea tardato a scrivermi, appunto per questo che giudi-