Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/487

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capitolo ventesimoprimo. 479

come gli spettatori del circo, che sicuri dai loro scanni, battevano le mani al bestiario, che usciva vincitore dal contemporaneo assalto d’un leone e di due tigri. Pochi ajuti d’armi e di uomini, pochissimi di danaro davan mano a quegli sforzi sovrumani: i governi d’Europa cominciavano a sogguardarsi l’un l’altro, e a tremare di non poter rimettere le catene turche ai ribelli cristiani. Intanto si seguitava a combattere; i Bascià non si mostravano più tanto ligii ai pronostici del sultano Mahmud, nè ubbidienti ai suoi comandi; i Giannizzeri stessi rifiutavano d’avventurarsi sopra una terra che inghiottiva i nemici. Cresceva per la Grecia il favore e l’entusiasmo dei generosi. Byron offerse le sue fortune, negoziò un imprestito, ma in quel frattempo ammalò, e alla notizia della malattia tenne dietro ben presto quella della morte. La Grecia accorse ai suoi funerali, tutta l’Europa pianse sopra la tomba santificata dall’ultimo anno di sua vita, e s’impose il suo nome ad uno dei bastioni di Missolungi. Luciano mi partecipò con commoventissime parole una tale disgrazia: egli si diceva desolatissimo che il suo illustre amico e protettore non avesse potuto colle imprese dell’eroe, oscurare la fama del poeta. “Il tempo è nemico dei grandi” soggiungeva egli. Ma si sbagliava, perchè Byron non sarà mai tanto grande pel suo generoso sacrifizio, come quando alcuni secoli si saranno accumulati sulla sua memoria.

Intanto anche a me a Venezia, comportabilmente col luogo, erano intervenute abbastanza gravi vicende. Raimondo Venchieredo che s’avea sposato la figliuola maggiore di Agostino Frumier, e per le strettezze economiche nelle quali era, e il talento capriccioso della giovine moglie, la faceva assai magra, si divertiva a sparlare di me e della Pisana, narrando massime di costei cose affatto nefande ed incredibili. Mi fu detto che al caffè Suttil egli teneva crocchio, e che non mancava sera che non dicesse qualche