Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/79

Da Wikisource.

capitolo decimosecondo. 71

ch’egli rimase lì a modo d’una statua: salvochè respirava con tanta fatica, che almeno le statue questa fatica non l’hanno. Pure un qualche cruccio lo provava anch’io per questo nuovo trascorso della Pisana ch’egli mi raccontava; e nullameno lo giuro che non mi rimase posto nel cuore per un tale rammarico, tanto mi aveva inorridito la cinica scappata di Giulio. Seguitai a rampognarlo, a tempestarlo della sua sacrilega speranza; e gli dimostrai che non sono i più codardi quelli che si rassegnano, appetto di coloro che mettono la loro soddisfazione nella viltà altrui e nella rovina della patria. M’infervorava tanto che rimanemmo soli senzachè me ne avvedessi: la comitiva avea seguito la Beauharnais nel Tesoro di San Marco, donde si doveva estrarre una magnifica collana di cammei per fargliene un presente. Quando ci avviammo per raggiungerli erano già usciti in Piazza, e tornavano verso il palazzo del Governo. Voi non vi figurerete mai la mia grandissima sorpresa nel discernere fra la gente che corteggiava la Francese Raimondo Venchieredo; e misti colla folla, Leopardo Provedoni e sua moglie, che anch’essi si lasciavano menare dalla curiosità in quella processione. Per quel giorno la cerimonia era finita, onde io abbandonando il Del Ponte alla sua stizza, m’accostai a questi ultimi, colle festose accoglienze e con quei tanti oh! di maraviglia e di piacere, che si usano coi compaesani e coi vecchi amici in paese forestiero.

La Doretta aveva gli occhi perduti dietro a Raimondo, che era scomparso nell’atrio del Palazzo coi cortigiani più sfegatati; Leopardo mi strinse la mano e non ebbe coraggio di sorridermi. Peraltro condotta ch’egli ebbe la moglie a casa in due stanzette vicine al Ponte Storto e rimasto solo con me, rimise un poco quella sostenutezza, e mi disse il perchè ed il percome di quella loro venuta a Venezia. Il vecchio signor di Venchieredo pareva fosse molto do-