Pagina:Le mie prigioni.djvu/199

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La partenza fu nella notte tra il 25 ed il 26 marzo. Ci fu permesso d’abbracciare il dottor Cesare Armari nostro amico. Uno sbirro c’incatenò trasversalmente la mano destra ed il piede sinistro, affinchè ci fosse impossibile fuggire. Scendemmo in gondola, e le guardie remigarono verso Fusina.

Ivi giunti, trovammo allestiti due legni. Montarono Rezia e Canova nell’uno; Maroncelli ed io nell’altro. In uno de' legni era co’ due prigioni il commissario, nell’altro un sotto-commissario cogli altri due. Compivano il convoglio sei o sette guardie di polizia, armate di schioppo e sciabola, distribuite parte dentro i legni, parte sulla cassetta del vetturino.

Essere costretto da sventura ad abbandonare la patria è sempre doloroso, ma abbandonarla incatenato, condotto in climi orrendi, destinato a languire per anni fra sgherri, è cosa sì straziante che non v’ha termini per accennarla!

Prima di varcare le Alpi, vieppiù mi si facea cara d’ora in ora la mia nazione, stante la pietà che dappertutto ci dimostravano quelli che incontravamo. In ogni città, in ogni villaggio, per ogni sparso casolare, la notizia della nostra