Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/124

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cosa aspettate? non vedete che quel pover uomo è tanto carico che non ne può più?» Quando fu essa entrata col facchino, la dama che aveva aperta la porta, la richiuse, e tutti e tre, traversato un bel vestibolo, passarono in un ampio cortile circondato da una galleria a sfori, che comunicava con parecchi appartamenti a pian terreno, d’estrema magnificenza. In fondo al cortile vedevasi un sofà riccamente addobbato, con un trono d’ambra nel mezzo, sostenuto da quattro colonne d’ebano, intarsiate di diamanti e perle di straordinaria grossezza, e guarnito di raso rosso, con ricami d’oro delle Indie di mirabile lavoro. In mezzo alla corte stava un gran bacino contornato di marmo bianco e pieno d’acqua limpidissima, che zampillava in abbondanza dalla gola di un lione di bronzo dorato.

«Il facchino, benchè carico, non cessava di ammirare la magnificenza della casa, e la pulitezza che dovunque regnava; ma ciò che ne attirò specialmente l’attenzione, fu una terza dama che gli parve ancor più bella della seconda, seduta sul trono anzi descritto. Ne discese questa appena vide le due prime dame, e venne ad incontrarle; ma dai riguardi che le altre mostravano per lei, giudicò egli che fosse la principale, nè s’ingannava. Chiamavasi questa dama Zobeide; quella che avea aperta la porta Safia, ed Amina quella ch’era stata a fare le provviste.

«Zobeide disse alle due dame, incontrandole: — Sorelle mie, non vedete che quel buon uomo piega sotto il peso che porta? Perchè tanto aspettate a scaricarlo?» Allora Amina e Safia, preso il paniere, questa davanti e quella di dietro, e messavi una mano anche Zobeide, tutte e tre lo deposero a terra, e cominciarono a vuotarlo; finita l’operazione, la vezzosa Amina, cavata la borsa, pagò splendidamente il facchino....»