Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/126

Da Wikisource.

110

troppo bene fui rimunerato della mia fatica. Comprendo d’aver commessa un’inciviltà fermandomi qui più che non doveva; ma spero avrete la bontà di perdonare al mio stupore, non vedendo nessun uomo con tre signore di beltà sì rara. Una compagnia di donne senza uomini è una cosa tanto triste, quanto una compagnia di uomini senza donne.» Aggiunse a questo discorso varie piacevolissime cose per provare la sua asserzione, nè dimenticò di citare il proverbio che correva a Bagdad: che non si sta bene a tavola se non in quattro; in fine terminò concludendo che, essendo elleno in tre, avevano bisogno d’un quarto.

«Le dame si posero a ridere del ragionamento del facchino; quindi Zobeide gli disse con grave accento: — Amico, voi spingete troppo oltre la vostra indiscrezione, ma sebbene non meritiate ch’io entri con voi in alcun particolare, nondimeno vi dirò esser noi tre sorelle, che facciamo con tal segretezza i nostri affari, da non lasciarne traspirare cosa alcuna. Abbiamo troppi motivi di temere di farne parte ad indiscreti, un buon autore che abbiam letto, dice: «Custodisci il tuo secreto, e non palesarlo a chicchessia; chi lo rivela, non n’è più padrone. Se il tuo labbro non può contenere il tuo segreto, come vuoi che il possa contenere il labbro della persona cui l’avrai confidato?» — Signore,» replicò il facchino, «al solo vostro aspetto, giudicai subito ch’esser dovevate persone di merito rarissimo, e m’avveggo di non essermi ingannato. Sebbene la fortuna non m’abbia impartiti mezzi sufficienti d’innalzarmì ad una professione superiore alla mia, non ho tralasciato di coltivare lo spirito, in quanto ho potuto, colle lettura di libri scientifici e di storia, e mi permetterete di dirvi che ho pur letto in un altro autore una massima da me sempre felicemente praticata. «Non doversi celare il nostro segreto,» dice questi, «se non a chi è, conosciuto