Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/129

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«Zobeide non volle dunque ripigliar il danaro del facchino. — Amico,» gli disse, «io, acconsentendo che restiate con noi, vi avverto non basta la condizione di mantenere il segreto che abbiamo da voi richiesto, ma pretendiamo altresì che osserviate esattamente le regole della creanza e della civiltà.» Mentre ella così parlava, la vezzosa Amina, ch’erasi spogliata dell’abito di città, sospese la veste alla cintura per agire con maggior libertà, e preparò la tavola; ammannì parecchie sorta di vivande, e mise sur una credenza bottiglie di vino e tazze d’oro; poi le dame presero posto alla mensa, e fecero sedere il facchino, oltremodo contentissimo nel vedersi a desco con tre persone d’una beltà sì rara.

«Dopo i primi bocconi, Amina, ch’erasi posta vicino alla credenza, prese una bottiglia ed una tazza, si versò da bere, e tracannò per la prima, secondo l’uso degli Arabi. In seguito la porse alle sorelle, che bevettero una dopo l’altra; poi, empiendo, per la quarta volta, la medesima tazza, la presentò al facchino, il quale, ricevendola, baciò la mano ad Amina, e cantò prima di bere una canzone, il cui senso era, che siccome il vento seco trasporta il grato olezzo de’ luoghi profumati d’onde passa, così il vino che stava per bere, venendo dalla di lei mano, riceveva un gusto più squisito di quello che naturalmente aveva. Rallegrò questa canzone le dame, le quali cantarono alla lor volta. Insomma, la brigata si mantenne di lieto umore durante il banchetto, che si protrasse a lungo, e fu accompagnato da quanto potea renderlo gradito.

«Il giorno stava per finire, quando Safia, prendendo la parola in nome delle tre sorelle, disse al facchino: — Alzatevi e partite; è tempo di ritirarvi.» Il facchino non potendo risolversi a lasciarle, rispose: — Ma, mio signore, ove mi comandate d’andare nello stato in cui mi trovo? A lungo vedervi e bere, sono

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