Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/133

Da Wikisource.

117

lenderi, i quali, entrando, fecero una profonda riverenza alle dame che si erano alzate per riceverli. Dissero esse con modi assai cortesi ch’erano i benvenuti, e che provavano gran piacere di trovar l’occasione di render loro servigio, e di poter contribuire a ristorarli dalle fatiche del viaggio; quindi li invitarono a sedere. La magnificenza del luogo e la cortesia delle dame fecero concepire ai calenderi alta idea di quelle belle ospiti; ma prima di prender posto, avendo per caso volti gli occhi sul facchino, e vedendolo all’incirca vestito come altri calenderi, coi quali dissentivano su vari punti di disciplina, e che non radevansi barba e sopracciglia, uno di loro disse: — Ecco, a quanto pare, uno dei nostri confratelli arabi ribelli.

«Il facchino, quasi assopito e colla testa calda dal vino bevuto, si trovò punto da quelle parole; e senza moversi dal suo posto, rispose ai calenderi, guatandoli fieramente: — Sedete, e non v’immischiate in ciò che non vi spetta. Non leggeste sulla porta l’iscrizione che vi sta? Non pretendete obbligare il mondo a vivere a vostro modo; vivete voi al nostro. — Galantuomo,» disse il calendero che aveva parlato, «non andate in collera. Ne dispiacerebbe assai d’avervene dato motivo, e siamo invece pronti a ricevere i vostri comandi.» Avrebbe potuto il diverbio avere conseguenze; ma le dame si frapposero, ed acchetarono ogni cosa.

«Quando i calenderi furono seduti a mensa, le dame lor servirono da mangiare, e la graziosa Safia particolarmente prese cura di versar loro da bere....»

Scheherazade si fermò a tal passo, osservando essere già giorno. Il sultano levossi per andare ad accudire a’ suoi doveri, ripromettendosi di udire all’indomani la continuazione della novella, avendo volontà di sapere perchè i calenderi fossero guerci tutti e tre dello stesso occhio.