Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/137

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e lasciandolo nell’aspettativa di qualche singolare avvenimento, quel principe attese con impazienza la notte susseguente.


NOTTE XXXIV


Dinarzade, non men curiosa del sultano di sapere che cosa sarebbe accaduto in casa delle tre dame dopo l’arrivo del califfo, non mancò questa notte di stimolare Scheherazade a riprendere la storia dei calenderi.

— Essendo,» disse la Sultana, «stati dalla bella Safia introdotti il califfo, il suo gran visir ed il capo degli eunuchi, salutarono essi con molta urbanità le dame ed i calenderi. Nè con minore cortesia li ricevettero le dame, credendoli mercadanti; e Zobeide, siccome la maggiore, lor disse coll’accento grave e serio che le conveniva: — Siate i benvenuti; ma prima di tutto non vi dispiaccia che vi si dimandi una grazia. — E quale, signora?» rispose il visir. «Come potremmo negarla a sì vezzose dame? — Questa consiste,» ripigliò Zobeide, «nell’avere occhi, ma non lingua; di non interrogarci su quanto possiate vedere, e non parlare di ciò che non vi risguarda, acciò non abbiate ad udire quello che forse non vi potrebbe piacere. — Sarete obbedita, signora,» disse il visir. «Noi non siamo nè censori, nè curiosi indiscreti; ci basta attendere alle nostre cose, senza immischiarci in quelle che non ci concernono.» Ciò detto, ciascuno sedè, ripigliossi la conversazione, e si ricominciò a bere in onore dei nuovi venuti.

«Mentre il visir Giafar discorreva colle dame, non poteva il califfo stancarsi d’ammirarne la straor-