Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/142

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— Sorella,» le disse, «avete fatto maraviglie; ben si capisce che provate il male cui tanto vivamente esprimete.» Amina non ebbe tempo di rispondere a tal complimento; che sentivasi in quel punto il cuore tanto oppresso, che non pensò se non a prender aria, lasciando così vedere a tutta la brigata un collo ed un seno, non già candidi qual una dama sua pari doveva averli, ma sformati da cicatrici; ciò che fece quasi orrore agli astanti. Non n’ebbe però alcun sollievo, ed anzi cadde svenuta...

— Ma, sire,» disse Scheherazade, «non mi avvedeva che è già giorno;» e con tali parole cessando dal racconto, il sultano si alzò.


NOTTE XXXVI


Dinarzade, secondo il suo costume, supplicò la sorella a continuare la storia delle dame e dei calenderi; e Scheherazade la ripigliò:

— Mentre Zobeide e Safia correvano ad assistere la sorella, uno dei calenderi non potè trattenersi dal dire: — Ci sarebbe stato più gradito dormire all’aria aperta che l’entrar qui, se avessimo creduto essere testimoni di simile spettacolo.» Il califfo, che l’intese, si accostò a lui e agli altri calenderi, e disse: — Che cosa significa questo?» e quegli il quale aveva parlato, rispose: — Signore, noi non lo sappiamo meglio di voi. — Che!» ripigliò il califfo, «non siete di casa? Non potete dirci nulla di quelle due cagne nere, e di questa dama svenuta e sì brutalmente maltrattata? — Signore,» soggiunsero i calenderi, «mai in nostra vita non siamo venuti in questa casa, e non ci siamo entrati che pochi momenti prima di voi.

«Ciò accrebbe lo stupore del califfo. — Forse,» ri-