Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/287

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tempo che non li ho veduti. — Sire,» rispose il giovane, facendogli una profonda riverenza, «sono andati da tre giorni alla caccia; eppure mi avevano promesso di tornare più presto.» Il re s’inquietò, e l’inquietudine sua accrebbe quando vide alla domane che i principi non comparivano ancora, nè seppe frenare la sua collera. — Imprudente straniero,» disse a Kodadad, «dovevi tu lasciar partire i miei figliuoli senza accompagnarli? Così adempi all’incarico che ti diedi? Va subito in traccia di loro, e conducimeli; altrimenti la tua perdita è certa. —

«Queste parole gelarono di spavento il disgraziato figlio di Piruzè, il quale, indossate le armi e montato tosto a cavallo, esce dalla città, e come un pastore che abbia smarrito il gregge, cerca per ogni dove de’ suoi fratelli in campagna, informasi in tutti i villaggi se siano stati veduti, e non raccogliendone veruna notizia, abbandonasi al più vivo dolore. — Ah, fratelli!» sclamò; «che cosa fu di voi? Sareste caduti in potere de’ nostri nemici? Non sarei io venuto alla corte di Harran se non per cagionare al re un dispiacere tanto sensibile?» Era inconsolabile d’aver permesso ai principi d’andare a caccia, o di non averveli accompagnati.

«Dopo alcuni giorni impiegati in vane ricerche, giunse in una pianura di prodigiosa estensione, in mezzo alla quale vedevasi un palazzo di marmo nero. Vi si avvicina, e scorge ad una finestra una leggiadrissima donna, ma adorna della sola sua bellezza; aveva i capelli sparsi, laceri gli abiti, e leggevasele sul volto tutti i segni d’una profonda afflizione. Allorchè vide Kodadad, e stimò che la potesse intendere, gli volse tali parole: — O giovane, allontanati da questo funesto palazzo, o ti vedrai fra breve in potere del mostro che l’abita. Un negro che si pasce d’umano sangue fa qui la sua dimora, arre-