Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/591

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Quanto a ciò che a lui piace trattare di stravaganza, confesso anch’io che lo è, e la mia azione deve parer tale agli occhi degli uomini; ma riguardo a Dio, è dessa una penitenza modicissima d’un peccato enorme, di cui mi resi colpevole, e ch’io non giungerei ad espiare, se tutti i mortali ad uno ad uno mi opprimessero di schiaffi. Del che sarà buon giudice la medesima maestà vostra quando, dall’esposizione della mia storia, cui mi accingo a narrarle, in obbedienza a’ suoi ordini, le avrò fatto conoscere qual sia questa grande colpa.»

I primi raggi dell’alba, che già penetravano nell’appartamento del sultano, costrinsero Scheherazade a rimandare alla notte seguente la storia del cieco Baba-Abdalla.


NOTTE CCCXLIV


— Sire,» ripigliò la sultana delle Indie, «ecco in quali termini esternossi il cieco davanti al califfo Aaron-al-Raschid.


STORIA

DEL CIECO BABA-ABDALLA.


«— Commendatore de’ credenti, io nacqui a Bagdad, con alcuni beni che dovea ereditare da’ miei genitori, morti entrambi a pochi giorni di distanza l’un dal l’altro. Sebbene mi trovassi in età non molto avanzata, non ne usai nondimeno da giovinastro, che