Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/616

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vola, e ci ponemmo a mensa. Quando scorsi che persisteva sempre a non mangiare il riso se non a grano a grano: — Amina,» le dissi con tutta la moderazione, «sapete quanto fui sorpreso il giorno dopo le nostre nozze, allorchè vidi che mangiavate soltanto il riso, in sì piccola quantità ed in un modo di cui ogni altro marito, fuor di me, sarebbesi offeso; sapete ancora che mi contentai di esternarvi il dispiacere che ciò mi cagionava, pregandovi di gustar pure dell’altre vivande che ci vengono servite, e che si ha la cura di acconciare in vari modi all’uopo di tentar di eccitare il vostro gusto. Da quel tempo avrete veduta la nostra tavola sempre servita nella stessa guisa, cangiando però alcuni piatti onde non mangiar sempre le medesime cose. Nondimeno le mie rimostranze riuscirono inutili, e fino ad oggi non cessaste di agire istessamente, recandomi il medesimo dispiacere. Mi tenni in silenzio, perchè non voleva violentarvi, e mi dorrebbe che quanto vi dico adesso vi cagionasse la minima pena; ma, Amina, ditemi, ve ne scongiuro, i cibi che ci sono serviti qui, non valgono meglio della carne da morto? —

«Non ebbi appena proferite quest’ultime parole, che Amina, comprendendo benissimo ch’io l’aveva osservata la notte, entrò in un furore che supera ogni immaginazione: le si accese il volto, uscironle gli occhi fuor della testa, e spumò di rabbia.

«Quello stato terribile in cui la vedeva mi empì di spavento; divenni come immobile e fuor di stato di difendermi dall’orribile nequizia ch’ella meditava contro di me, e della quale vostra maestà rimarrà certamente stupita. Nel furore del suo trasporto prese un vaso d’acqua, che trovò alla mano, v’immerse le dita, e borbottando fra’ denti alcune parole che non intesi, gettommi in volto di quell’acqua, dicendo con voce furiosa: