Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/297

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«Il re, di ritorno nel suo palazzo, mandò a cercare il capo degli eunuchi. — Va,» gli disse, «nell’appartamento della regina, e portami la sua testa. — Come! sire,» sclamò colui, mosso da compassione e trascinato da un moto involontario, «volete far perire Aroa? Ella è certo agli occhi vostri assai colpevole: ma non può forse esser vittima d’una calunnia? Invece di versare il suo sangue, fatela piuttosto trasportare in un deserto; se è rea, perirà; ma se è innocente, Dio le conserverà la vita. —

«Il re approvò il ragionamento del capo degli eunuchi, chiamò uno schiavo e gli ordinò di far montare tosto Aroa su di un camello, e condurla nel deserto. L’ordine fu eseguito ed Aroa fu abbandonata sola, senz’acqua, nè cibo, in mezzo ad una immensa solitudine.

«La misera, vedendosi in quella dolorosa posizione, non pensò che a prepararsi alla morte: salì sur una collinetta, eresse un altare, mettendo alcune pietre l’una sull’altra, e si mise a pregare, implorando la misericordia divina. Ella vide quasi subito avanzarsi verso di lei un uomo ignoto.

«Era uno degli schiavi del re Chosroe, incaricato di custodire i suoi camelli; vari di questi animali essendosi sbandati, il re lo aveva minacciato di morte se non li trovava: erasi inoltrato nel deserto per cercarli, e scorta da lungi una donna, fu curioso di vederla più da vicino. Si avvicinò adunque ad Aroa, ed aspettato che finisse la preghiera, la salutò urbanamente, e le chiese chi fosse e cosa facesse in quella solitudine. — Io sono,» rispose, «una serva del Signore, occupata unicamente a pregarlo e servirlo.—

«Il guardiano dei camelli, colpito dell’avvenenza della principessa, le propose di sposarla, promettendo usarle ogni riguardo e compiacenza. — Io non posso,» rispose la donna, «appartenere ad altri