Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/64

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CAPITOLO XXVIII.

Quarta veduta.

Qui anzi che mostrarti qualche cosa di meglio, incominciò a dire il buon genio, ti presento i due più gran malvagi che la terra sorregga; guardali prima che io te ne parli e li osserva.

Ritti in piedi in mezzo della stanza, e stretti l’uno accanto all’altro, parlottavano fra loro due individui, uno prete, l’altro secolare. Il prete tremava tutto come una bubbola, ed aveva scritto in fronte: l’ippocrita. Di pelle olivigna, sotto una fronte profondamente solcata da linee trasversali, sbirciava due occhi semichiusi a modo dei porci. In tutto il suo contegno dimostrava ad un accorto osservatore la finzione e la malvagità. Il secolare era un torso corpulento; schienuto panciuto, grosso, che parea una torre; in fronte avea scritto: il mestatore. Mostravano di esser coetanei in sui cinquant’anni, e di esser fra loro collegati in intima amicizia.

Ebbene, buon genio, li ho veduti, e presagisco brutte cose; ora parlate voi.

— Sono a soddisfarti: nel mio racconto chiamerò il prete Tremerello, il secolare Trippaccia. Ora ascolta.

Tremerello sortì i natali da poveri parenti di professione agricoltori. Avviato per la carriera ecclesiastica, nonostante le ristrettezze della famiglia, fu mantenuto per qualche anno in una vicina città, perchè ivi attendesse allo studio delle ecclesiastiche discipline; ma come quegli che duro era di cuore non solo, ma di cervice ancora, poco apparò e a gran fatica potè