Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/85

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Sputa fra le corna a un bue e vedrai che non se ne accorge, o accorgendosene non se ne cura, giudicando più presto quell’atto suo una carezza, una gentilezza, che un frego, un'ingiuria.

— Voi mi dite cose che io non avrei pensato mai, nonostante l'eloquenza della di lui bocca aperta e del di lui viso da stupido. Egli è dunque più zuccon dell'orso, che come lo bastonano balla: e quella bella roba di donna così sguaiata se la tien cara e l'adora?

Niente meglio! Anzi, quanto più essa lo carica, tanto meglio egli la ama: ed essa che vuol pure essere amata dal marito non si risparmia, e coglie al volo quante occasioni le si presentano per gratificarsi coll'opera dei ricami questa sua cara granbestia.

Quindi va di tanto in tanto mutando stromento e suonatore, ma la musica è sempre e sarà sempre la stessa fino a che essa sarà donna. Ora ascolta quanto avvenne a questa gentil coppia in una festa da ballo or non ha gran tempo.

— Son tutto orecchi, dite.

Correva precisamente l'ultima domenica di carnevale, e questi due sposi circa l'un'ora di notte movevano per alla volta di un palazzo, dove si dava una festa da ballo. Entrava la dama a braccetto del suo onocentauro nella sala, e culeggiando procedeva impettita, affusolata, tutta gonfia e piena di sè per quella sciocca baldanza che nelle piccole teste lieva il pensiero di sapersi ricchi. Era messa costei in gran lusso e con grande sfarzo di seriche vesti e di preziosi ornamenti. Armille d’oro finamente niellate le cingevano i polsi, le penzigliavano agli orecchi ingioiellate goccie: collane, vezzi, borchie, rosette, cammei e spilloni, le trecce le adornavano, la fronte, il collo, e il petto.