Pagina:Le opere di Galileo Galilei VI.djvu/377

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vengono da essi raggi traversate. E così parimente, scendendo un raggio di Sole per qualche finestrella in una stanza ombrosa, come tal or si vede per qualche vetro rotto in alcuna chiesa, tutti gli oggetti opposti, in quella parte dove il raggio gli traversa, si veggono meno distintamente, mentre però il riguardante sia in luogo onde ei vegga il raggio luminoso distinto, il che non avviene da tutti i siti indifferentemente. Ora, stanti queste cose vere, dico (e così si è sempre detto) potere esser che la materia della cometa sia assai più sottil dell’aria vaporosa, e meno atta ad illuminarsi, ché così ne persuade il vederla noi sparir nell’aurora e nel crepuscolo, trovandosi il Sole ancora assai sotto l’orizonte; sì che, quanto alla lucidità, non ci è ragione perch’ella debba asconderci le stelle più della region vaporosa. Quanto poi alla profondità, prima, la region vaporosa è grossa molte miglia; dipoi, noi non siamo in necessità di por la barba della cometa di smisurata profondità, non avendo determinato né quanto sia il diametro del capo, né s’egli è rotondo, né quanta sia la lontananza. Con tutto ciò, quando anco altri volesse porla profonda 8 o 10 miglia, non si vede nascerne inconveniente alcuno; perché anco l’aria vaporosa in tanta e maggior profondità, ed illuminata quanto la barba della cometa, lascia veder le stelle.



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"Illud præterea a Galilæo Aristoteli obiicitur, male illum ex cometis prædicere, annum fore non admodum pluvium, sed siccum potius, ventorum etiam ingentem vim ac Terræ motus portendi. Cum enim, inquit, cometæ nihil aliud Aristoteli sint nisi ignes, huiusmodi exhalationum veluti eluones voracissimi, si nullas reliquias ab iisdem relinquendas dixeris, longe sapientius pronunciaris. Sed ego longe aliter sentiendum existimo. Nam si qua in urbe per fora ac vias magnam frumenti vim dispersam negligenter haberi, aut si forte vilissima quæque capita ac plebeculæ sordes opipare semper epulari videas; an non inde tantam rei frumentariæ ac totius annonæ facultatem sapienter arguas, ut nulla ibidem in longum tempus metuenda sit inopia? Ita plane dicendum. Atqui halituum sedes angustis ut plurimum terminis, ac veluti in horreo frumentum, includitur; neque ad illas plagas, quibus vorax flamma dominatur, facile producitur, nisi quando eorumdem ingens copia inferioribus sedibus capi non potest, aut forte iidem, sicciores ac rariores effecti, omnem aqueam exuerint qualitatem. Quare non inepte Aristoteles ex cometis, hoc est ex huiusmodi exhalationibus ad ignem usque, adeo non parce sed affluenter, productis, intulit, inferiora hæc omnia iisdem maxime abundare. Neque hinc sequitur, ab eo igne nullas eorumdem halituum reliquias relinquendas: is enim ea tantum absumit, quæ supra non capaces inferioris sedis angustias ad ignis plagam elevantur; qui postea ignis non in alienas regiones irrumpit, sed suo semper fixus in regno ea sibi vindicat quæ propius ad illum accesserint aut, quasi ab humidioribus impressionibus transfuga, ad illum defecerint: et propterea potuit Aristoteles hinc etiam ventos, sicciorem anni temperiem, aliaque huiusmodi prænunciare. De nostro certe cometa si quis tale aliquid prædixisset, potuisset ab eventu ipso id egregie confirmare; nam et annus siccior solito extitit, insolentes ventorum vehementesque flatus experti sumus, Terræ motibus magna Italiæ pars concussa, idque alicubi non parvo urbium atque oppidorum damno. Quid igitur? an non sapienter ut, alia multa, hæc etiam Aristoteles enunciavit?"

L’essempio in virtù del quale crede il Sarsi di poter difendere Aristotile e mostrar l’obiezzione del signor Mario invalida, a me par che non molto s’assesti al caso essemplificato. Che il veder per le strade e per le piazze copia di biade arguisca esser di quelle maggiore abbondanza che quando non se ne veggono, ha molto ben del ragionevole, imperò che è in potere ed in arbitrio de i padroni l’esporle ed il celarle, e, di più, il farne mostra non le consuma o diminuisce punto; i quali due particolari non ànno luogo nel caso della cometa. E per avventura essempio più proporzionato sarebbe se alcuno dicesse in cotal modo: che l’isola Cuba abbondi di cinnamomi e cannelle, ce ne sia grand’argomento il sapere che gl’isolani fanno fuoco di quelle continuamente. Il discorso è concludente, perché, essendo in arbitrio loro l’arderle o no, quando ne avesser penuria l’userebbon per condimento solamente, come noi. Ma quando venisse avviso che i mesi passati per certo accidente si fusse attaccato fuoco nella gran selva de’ cinnamomi, e che gl’isolani non furono potenti ad estinguer