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le fiamme, ritrovandosi in questo tempo assai lontani dal luogo, sì ch’ella irreparabilmente arse; se alcun mercante da tale accidente insolito volesse a i nostri aromatarii pronosticare una straordinaria abbondanza, poi che, dove per l’ordinario se ne abbruciano a fascetti, questa volta si è fatto a boscaglie intere; io credo ch’ei verrebbe reputato persona molto semplice: e quello che vedendo dalle fiamme divorar le biade mature della sua possessione, si rallegrasse e si promettesse d’essere per empire assai più del solito i suoi granai, poi che ve n’è da abbruciare a moggia, credo che sarebbe tenuto stolto affatto. La materia di che si fa la cometa o è della medesima di che si producono i venti, o è diversa: se è diversa, non si può dalla copia di quella arguire abbondanza di questa, più che se alcuno dal veder molt’uva si promettesse gran ricolta d’olio; se è dell’istessa, attaccato che vi sia il fuoco, arderà tutta. ==Pagina:Le opere di Galileo Galilei VI.djvu/379==



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"Quid porro ex his omnibus inferri non immerito possit, non ex me, sed ex Galilæo ipso, audiendum censeo. Ille enim, cum sua hæc experimenta exposuisset, addidit: "Hæc nostra sunt experimenta, nostræ hæ conclusiones, ex nostris principiis nostrisque opticis rationibus deductæ. Si falsa experimenta, si vitiosæ fuerint rationes, infirma ac debilia futura etiam sunt dictorum nostrorum fundamenta." His ego nihil ultra addendum existimo.

Atque hæc illa sunt, quæ mihi in hac disputatione, ob meam erga Præceptorem observantiam, dicenda proposui: quibus ostendi certe conatus sum primum, iustam a Galilæo (atque hic princeps fuit scribendi scopus) querelarum materiam Præceptori meo, a quo ille perhonorifice semper est habitus, oblatam fuisse; deinde, licuisse nobis, in edita illa Disputatione, per parallaxis ac motus cometici observationes eiusdem cometæ a Terra distantiam metiri, atque ex tubo optico, parvum admodum cometæ incrementum afferente, aliquid etiam momenti rebus nostris accedere potuisse; præterea, non æque eidem Galilæo licuisse, cometam e verorum luminum numero excludere, ac severas adeo motus rectissimi leges eidem præscribere; ad hæc, constare ex his, aërem ad cæli motum moveri, atteri, calefieri atque incendi posse, ex motu per attritionem calorem excitari, nulla licet pars attriti corporis deperdatur, aërem illuminari posse, quotiescunque crassioribus vaporibus admiscetur, flammas lucidas simul esse atque perspicuas, quæ Galilæus ita se habere negavit; falsa denique deprehensa experimenta illa, quibus fere unis eiusdem placita nitebantur. Hæc autem innuere potius quam fusius explicare volui, cum neque plura exigi viderentur, ut pateret omnibus, neque ulli in Disputatione nostra a nobis iniuriam illatam, neque nos infirmis rationibus ductos eam, quam proposuimus, sententiam cæteris omnibus prætulisse."

Qui, com’ella vede, il Sarsi fa due cose: la prima contiene implicitamente il giudicio che altri deve fare della debolezza de’ fondamenti della nostra dottrina, appoggiandosi ella sopra esperienze false e ragioni manchevoli, com’egli pretende d’aver dimostrato; aggiunge poi, nel secondo luogo, un catalogo e racconto delle conclusioni contenute nel Discorso del signor Mario e da sé impugnate e confutate. In risposta alla prima parte, io, ad imitazion del Sarsi, liberamente rimetto il giudicio da farsi circa la saldezza della nostra dottrina in quelli che attentamente avranno ponderate le ragioni e l’esperienze dell’una e l’altra parte; sperando che la causa mia sia per esser favoreggiata non poco dall’aver io di punto in punto essaminato e risposto ad ogni ragione ed esperienza prodotta dal Sarsi, dov’egli ha trapassata la maggior parte e la più concludente di quelle del signor Mario. Le quali tutte io avevo fatto pensiero (ed era in contracambio del catalogo del Sarsi) di registrar nominatamente in questo luogo; ma postomi all’impresa, mi è mancato e l’animo e le forze, vedendo che mi saria stato bisogno trascriver di nuovo poco meno che l’intero trattato del signor Mario. Però, per minor tedio di V. S. Illustrissima e mio, ho risoluto più tosto di rimetterla ad un’altra lettura di quello stesso trattato.

IL FINE

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