Pagina:Le poesie di Catullo.djvu/113

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trad. da Mario Rapisardi 113

     Venere santa, nè delizia alcuna
     Recano al tuo pensier che veglia e geme
     10I dolci doni delle Muse antiche,
     Ciò grato è a me, però che tuo mi credi
     Verace amico, e all’amicizia mia
     Cerchi di Cipri e delle Muse i fiori.
     Ma perchè, Manlio, a te non sieno ignoti
     15Gli affanni miei, nè tenga mai che aborra
     Dagli officj di grato ospite, ascolta
     In quali flutti abbia me pur sommerso
     La rea fortuna, a ciò che lieti doni
     Da un misero ch’io son tu non ti aspetti.

20Dacchè data mi fu la bianca veste,
     E i giocondi anni miei fioria l’Aprile,
     Assai di carmi ebbi vaghezza: ignara
     Non è di noi la dea, che mescer suole
     Qualche dolce amarezza a’ nostri affanni.
     25Ma da’ cari miei studj mi distolse
     Del fratello la morte. O fratel mio
     A me tolto infelice, ogni mio bene
     Con la tua morte, o fratel mio, si franse;
     Giace sepolta la paterna casa.
     30Tutta con te, con te perîr le gioje
     Che alimentavi col tuo vivo amore.
     Al morire di lui tutti fugai
     Gli amati studj dalla mente, tutte
     Le delizie dal core. E se tu scrivi,