Pagina:Le poesie di Catullo.djvu/115

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trad. da Mario Rapisardi 115

     E in qual amor cacciommi, allor che pari
     Alla trinacria rupe e a la bollente
     65Fra le gole oetée màlia fontana,
     Misero, ardeva, ed in assiduo pianto
     Gli afflitti occhi struggendo, umide ognora
     Della triste rugiada avea le gote.
     Come ruscel che nitido dal masso
     70Spiccia, d’un monte su l’aerea cima,
     Precipitoso ne la fonda valle
     Volvendosi da prima, alla frequente
     Strada se n’esce, e cheto l’attraversa:
     N’ha gran ristoro il passeggier, che tutto
     75Di sudor molle anela, allor che grave
     L’estiva arsura i campi aridi fende;
     O qual dolce alitar d’aura seconda
     A nocchier che da un turbo atro ravvolto
     A Castore e Polluce alzi le palme,
     80E lungamente il lor favore aspetti,
     Tal fu di Manlio a me l’ajuto: il breve
     Limite del mio campo egli dischiuse,
     Donna e casa ei mi diede ov’io potessi
     Esercitare i corrisposti amori.
     85E quivi entrò col morbidetto piede
     La mia candida diva, e la frequente
     Soglia sfiorando con la sòla arguta
     Del fulgido calzar, stette alla guisa
     Che d’amor tutta ardente alla mal presta
     90Reggia protesilèa Laodamia venne,