Pagina:Le poesie di Catullo.djvu/119

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Trad. da Mario Rapisardi 119

     175Rari e cauti i suoi furti, onde non farmi,
     Com’è da stolti, oltre il dover molesto.
     Giunone, anch’essa delle dee la prima,
     Spesso la prorompente ira divora
     Alle colpe di Giove, e ben sa quanti
     180Furti a lei fa l’onnivolo marito.
     Ma iniquo è l’assembrar gli uomini a’ numi.
     . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     Soffri d’un egro padre il peso ingrato.
     Nè dalla man paterna al tetto mio
     185Fu tra sirj profumi ella condotta;
     Ma, dal seno del suo proprio marito
     Involandosi, a me trasse, e furtivi
     Nella tacita notte i doni suoi
     Soavissimi doni ella a me diede.
     190Oh pago esser degg’io, s’anco un sol giorno
     Del più candido sasso ella mi segni.

Questo di tanti beneficj in prezzo
     Umil carme inviar, Manlio, poss’ io,
     Perchè ruggine scabra i vostri nomi
     195Per questa ed altre età punto non tocchi.
     Aggiungano gli Dei quanti favori
     Ai pii mortali un dì Temi assentìa;
     E te prosperi il Cielo e la tua vita
     E quella casa in cui la mia signora
     200Fece con me le dilettose prove,
     Ed Ànsere che a te pria mi fe’ noto