Pagina:Le poesie di Catullo.djvu/33

Da Wikisource.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

trad. da Mario Rapisardi 33


5Ma tu no’l curi, e il misero mio cor lasci agli spasimi.
     Ah di’ che faran gli uomini, in chi vuoi più che fidino?

Tu tu, sleal, quest’anima allettasti alla pania,
     Tu m’inducesti a credere tutto a’ miei voti agevole.

Ed ora ritraendoti, fai che le nebbie e l’aure
     10Ogni tuo detto, ogni opera al vano aere si portino!

Oblia pure: son memori gli Dei, la Fede è memore,
     E ti faranno l’anima dal pentimento rodere.


31

O Sirmione — o vago occhio di quante
     Isole e terre — in chiari laghi e in vasti
     Mari sopporti — il duplice Nettuno,
     Come di cuore — e quanto lieto io torno
     5A vagheggiarti! — A me quasi non credo
     Aver la Tinia — e di Bitinia i campi
     Lasciati, e gli occhi — in te bear securo.
     Oh, qual’e mai — felicità più bella,
     Che dopo lungo — e faticoso errore
     10Stanchi tornare — al focolar paterno,
     E d’ansie scevri — e liberi del peso
     D’aspri pensieri — in sul bramato letto