Pagina:Le poesie di Catullo.djvu/46

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46 Le poesie di Catullo

     10Che incappellai — per dare ascolto al ventre,
     Di laute cene — ahi troppo ghiotto. Ambiva
     Esser da Sestio —— a mensa; e una sciloma
     Ebbi a succhiarmi — avverso al candidato
     Anzio, di ghiaccio — e di velen sì piena,
     15Che un raffreddore, — un’incapacciatura
     Tosto ne presi — e così fiera tosse,
     Che fino a tanto — i visceri schiantommi,
     Che nel tuo seno — asil cercando, a forza
     D’ozio e d’ortica — io me ne son guarito.
     20Grazie a te dunque — e le maggiori io rendo,
     Giacchè non m’hai — fatto pagare il fio
     Del mio peccato. — E non m’oppongo ormai,
     S’altri rei scritti — avrò di Sestio a bere,
     Che a me non tocchi — e infreddatura e tosse,
     25Anzi che a Sestio; — a cui sol viene il ticchio
     D’avermi a cena, — allor che la lettura
     D’un libro orrendo — infliggere mi vuole.


45

Al cor Settimio tenendo stretta
     La sua carissima Acme: “O diletta

Acme, susurrale, s’io pazzamente
     Non t’ami, e assiduo sempre ed ardente,