Pagina:Le poesie di Catullo.djvu/94

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94 Le poesie di Catullo


47Peneo vien dopo, che l’amena valle
     Abbandonò di Tempe, a cui solenne
     Dan le selve imminenti ombra a le spalle,
     E c’ha dai sacri balli onor perenne.
     Platani ombrosi e alteri faggi dalle
     Radici evulsi egli a recar qui venne;
     Nè il cipresso e l’allor ch’erge la fronte
     Manca, nè quei che piange arso Fetonte.

48E perchè l’atrio abbia di fronde un velo,
     Folti dintorno alla magion li assetta.
     Vien poi Prometeo, che dell’arduo zelo
     Il fio pagò su la caucasea vetta,
     Quando sospeso all’alte balze anelo
     Sentì delle catene aspre la stretta;
     Passò stagion, ma della pena acerba
     Scemati alquanto i segni antichi ei serba.

49Il padre degli Dei dal ciel poi giunge
     Con la consorte santa e la felice
     Prole, te sol, Febo, lasciando lunge
     E l’unica dell’Idro abitatrice:
     Però che desiderio alcun non punge
     Nè te, nè lei cui fu Latona altrice,
     Di venir su la terra, e l’imeneo
     Concelebrar di Teti e di Pelèo.