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LE SELVE ARDENTI 153

tu sei una piccola giaguara. L’indian-agent ha avuto ragione di dirtelo. —

Minehaha continuava a tacere. Si era novamente seduta dinanzi al fuoco, appoggiando il mento sul palmo della mano sinistra, mentre colla mano destra, armata d’un tizzone mezzo consunto, frugava dentro i carboni accesi sollevando, di quando in quando, piccoli sprazzi di scintille e qualche nuvoletta di fumo.

Nube Rossa si era messo a passeggiare intorno, pestando fortemente il suolo.

Ad un tratto si fermò dinanzi ad una delle casse che ingombravano il wigwam, l’aprì impetuosamente, tolse una bottiglia d’aguardiente, la decapitò col suo coltello da scotennare, e si mise a bere a lunghi sorsi, come se volesse soffocare la collera terribile che gli avvampava nel petto.

Minehaha fingeva di non vedere. D’altronde sapeva che tutti i grandi guerrieri dalla pelle rossa erano pure grandi bevitori. Quando la bottiglia fu semivuota, il vecchio Corvo tornò verso sua figlia e le chiese con voce roca:

— Che cos’hai deciso?

— Che quegli uomini morranno! — rispose freddamente la sakem. — Non voglio lasciarli ancora negli Stati del Gran Padre bianco, mentre noi emigriamo verso il settentrione.

Dove li ritroverei dopo, quando noi avessimo varcato il confine del Dominio Inglese?

— Non ti ha restituita la capigliatura di tua madre, l’indian-agent?

— Non mi basta: voglio il suo sangue.

— E poi fuggiremo, tu dici o speri. Ma Piede Grosso è troppo ammalato per affrontare i disagi d’un viaggio con questo freddo intenso.

Non l’odi tu, tossire? —

Minehaha alzò leggermente le spalle.

— Quello non è un Corvo, è un Sioux, un grande guerriero che tutti ammirano e che nessuno abbandonerebbe.

Aspetteremo che sia guarito.

— E intanto gli americani giungeranno, troveranno i pali di tortura, indovineranno tutto e si vendicheranno ferocemente.

Pensa che non siamo tutti guerrieri: abbiamo con noi anche delle donne e dei fanciulli.

— Anch’io sono una donna — rispose Minehaha. — Che le altre combattono al mio fianco.