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Capitolo XVII.


Il conduttore di feretri.


I latrati dei cani si diffondevano sempre più intensamente per l’aria tranquilla, essendo cessato il vento; ma la slitta non si scorgeva ancora.

Essendo la vasta pianura interrotta di tratto in tratto da gruppi di pini del Canadà e di betulle, non era possibile scorgerla subito ad una così notevole distanza.

Ma gl’indiani dovevano averla scoperta, poichè continuavano la loro manovra silenziosa, passando da una macchia all’altra con molta prudenza, a quanto pareva.

— Se potessimo sorprenderli e gettarli a terra con una scarica improvvisa!... ― disse Sandy-Hook all’indian-agent, che gli cavalcava a fianco. ― Per bersaglieri quasi infallibili come siamo noi, non sarebbe che un semplice giuoco.

— L’indiano non si lascia sorprendere da altri cavalieri ― rispose John. ― Noi siamo stati dei veri stupidi ad inforcare i nostri mustani.

— Che dite, mister?

— Che sarebbe più facile avvicinarsi strisciando ed approfittando dei piccoli avvallamenti del suolo.

Tò! Guardate, Sandy! Ecco qui un branco di cani di prateria, che si presenterà, a meraviglia al nostro giuoco.

— Vedo: è una vera fortuna per noi. Quei monticelli ci permetteranno di raggiungere le macchie che gl’indiani stanno girando e rigirando per sorprendere il conduttore di cani corridori. E i mustani?

— Vi fidate di milord?

— Come di me stesso.

— Non fuggirà?

— Ma no! Non può stare ormai senza il suo maestro di boxe, che