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LE SELVE ARDENTI 217

Il bisonte, che forse era stato ferito, e perciò anche più infuriato, gli si cacciò dietro muggendo spaventosamente.

I suoi larghi zoccoli, trovando maggior appoggio sullo strato nevoso, lo spingevano ad una corsa furiosa, mentre il mustano, armato di ferri, di quando in quando affondava.

Quella caccia impressionante non durò che un sol minuto, poichè il bisonte con un ultimo e più impetuoso slancio fu addosso ai nemici fuggenti.

Fortunatamente l’inglese era penetrato in un lembo di foresta foltissima, la quale stendeva i rami in tutte le direzioni ed a varie altezze.

Comprendendo ormai che ogni lotta non sarebbe stata possibile, poichè non si trattava di atterrare un orso dei Pirenei, con una mossa brusca si alzò e s’aggrappò ad un ramo d’un pino nero, abbandonando fucile, rivoltella e cavallo.

Rotto a tutti gli esercizi ginnastici, con volteggio, che sarebbe stato ammirato anche da un giovanotto di vent’anni, si mise in salvo e al sicuro da ogni attacco.

Il bisonte, il quale pareva che non si fosse nemmeno accorto della scomparsa del suo feritore, si rovesciò sul mustano, che aveva le zampe affondate nella neve, e con due terribili cornate lo rovesciò col fianco sinistro squarciato. Le budella uscirono subito fuori fumanti.

— Bel colpo! — esclamò il lord.

Poi aggiunse:

— Mie povere lingue! —

Si era messo a cavalcioni del grosso ramo, che si stendeva orizzontalmente a tre metri dal suolo, ed osservava flemmaticamente quanto stava per succedere, come se il caso non lo riguardasse.

Non era ancora finita per il povero mustano agonizzante in mezzo alla neve, già arrossata del suo sangue!

Il terribile ruminante, dopo d’aver continuata la sua corsa indiavolata per un centinaio di metri, aveva fatto un improvviso voltafaccia e tornava alla carica colla testa quasi rasente al suolo.

Le sue corna già tinte di sangue, si affondarono per la seconda volta nel corpo del moribondo strappandogli un nitrito acutissimo.

Riprese la corsa girando su sè stesso, come se fosse impazzito, poi novamente si precipitò sul mustano.

Era un attacco inutile, poichè il povero figlio della prateria dopo d’avere sferrati alcuni calci, si era allungato, mostrando le sue spaventose ferite.

Da quegli squarci uscivano intestini, polmoni, e pezzi di altri visceri.