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172 epistolario

con molto piacere che voi facendo gran conto del suo parere, vi eravate deciso a darci un’Odissea Italiana.1 Il Cav. Ackerblad ivi presente, e che vi riguarda come una sua antica conoscenza, mi domandò cosa avevate fatto della vita di Porfirio, e si rallegrò di sentirvi tanto inoltrato nei vostri studj, e risoluto di accingervi ad un’impresa, che certamente vi procurerà un seggio distinto nel tempio della fama.

Avrò molto piacere di conoscere il coltissimo Giordani, e l’edizione delle vostre migliori cose da lui promossa è un’idea felice, di cui pruovo sincera compiacenza. Già s’intende che non potete a meno di donare un esemplare di quel volume alla Devonshire, altro ad Ackerblad, altro a Cancellieri, ed altro a me. Chi stampa, come fate voi, per vaghezza di gloria, si trova impegnato a queste attenzioni.

Pregai il vostro Sig.r Padre di far commettere presso Stella col vostro mezzo, e quando per altri motivi avevate da scrivergli, l’Eneide di Annibal Caro. Vi rammento questa commissione per indicarvi che io lo voglio in quel grazioso formato di 16° in 2 Vol.: come appunto è l’Iliade di Monti, che avevate l’anno scorso o due anni sono fra le mani. Altra edizione non fa al caso mio.

Fate i miei piú teneri saluti ai Vostri amatissimi genitori, e crediatemi con tutto l’animo il V. Aff.mo Zio Carlo Antici.

112. Di Pietro Giordani.

Piacenza 10 Maggio [1818].

Mio caro carissimo Giacomino. Finalmente finalmente son pure distaccato da Milano; che è una gran cosa potentemente attaccaticcia. Qui mi terranno alcuni giorni i miei interessi. Poi mi chiama a Venezia Cicognara che vuol partire per Vienna. Rispondo cordialmente ringraziando alla vostra 24 aprile.2 II bravo Mai procede molto bene innanzi nella sua grande opera dell’Eusebio: tra quattro mesi potrà il mondo ammirarla. Leggeremo insieme le vostre operette; che assolutamente voglio raccogliere e stampare; onde il mondo vi conosca. Quando vogliate regalarmi di vostre lettere, dirigetele a Vicenza, dove mio fratello ne avrà cura. Ricordatemi buon servitore al signor Padre e al fratello. Vi raccomando sempre sempre e molto la cura della salute; svagamento ed esercizio di corpo. Vogliatemi bene; e pensate che io vi amo di cuore; e mi struggo di voglia di vedervi ed abbracciarvi. Addio, Giacomino mio prezioso.

  1. Particolarmente notevole è questa decisione di G. di tradurre tutta l'Odissea. A ciò egli pensava fin dal '16, come risulta dal preambolo al Saggio datone nello Spettatore: «Tradurrò l'Odissea se i miei approveranno il Saggio che presento loro della mia traduzione.... Io non ho punto vaghezza di tradurre l'Odissea: odo che l'Italia brami di averla tradotta [l'aveva udito specialmente, se non esclusivamente, dallo zio Antici], ed io le ne darei una traduzione, se ella stimasse che io potessi a lei darla». E segue l'«inginocchiamento» a tutti i letterati d'Italia, e la «supplica» di consigliarlo. L'idea della gran traduzione persisteva in G. anche quand'egli scriveva il preambolo al II dell'Eneide. E anche allora egli doveva aver manifestato allo zio questa risoluzione. In seguito rimase esitante tra Omero e Platone (cfr. lett. 95, p. 151, nota 1). Ora s'era deciso per il primo; nel '23, a Roma, per il secondo. E finí col non far piú nulla né dell'uno né dell'altro.
  2. È al n. 110.