Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/178

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ASSO 1817 - LETTERA 91 l+ó laraente un paio e mezzo di cavalli di posta, ch’egli non mi dà, perché s’è persuaso d’una cosa che non mi sono persuaso io, cioè che 10 abbia a fare il galantuomo in casa sua.1 Ma tornando ai libri, quando mi s’offre occasione spontanea di domandarne, come èquesta che voi m’avete somministrata, io non ci ho nessuna ripugnanza; e però ogni volta che vi acoaderà di spendere cosi il mio nome, voi farete piacere a me che avrò un bel libro di più da leggere, e nessunissimo dispiacere a mio padre. Ben volentieri m’adoprerei per trovarvi associati, se potessi. E non voglio lasciar di dirvi che questi paesi in verità sono sterili e difficili, ma qualunque nitro colla metà della mia premura ne potrebbe pur cavare assai più ch’io non potrei. Alla fine io sono un fanciullo e trattato da fanciullo, non dico in casa, «love mi trattano da bambino, ma fuori, chiunque ha qualche notizia della mia famiglia, ricevendo una mia lettera, e vedendo questo nuovo Giacomo, se pure non mi piglia per l’anima di mio Nonno morto 35 anni fa, che portò questo nome, suppone 2 ch’io sia uno de’ fantocci di casa, e considera che rispondendo egli uomo fatto (fosse ancora un castaido) a me ragazzo, mi fa un favore, e però con due righe mi spaccia, delle quali l’una contiene i saluti per mio padre. In Recanati poi io son tenuto quello che sono, un vero e pretto ragazzo, e i più ci aggiungono i titoli di saocentuzzo 3 di filosofo d’eremita e che so io. Di maniera che s’io m’arrischio di confortare chicchessia a comperare un libro, o mi risponde con una risata, o mi si mette in sul serio e mi dice che non è più quel tempo, che venga avanti e vedrò io, che anch’egli dell’età mia avea questo genio di comprar libri il quale se n’è ito venendo 11 giudizio, che il medesimo succederà a me: e allora io ragazzo non posso alzar la voce c gridare: razza d’asini, se vi pensate eli’ io m’abbia a venire simile a voi altri, v’ingannate a partito; clié io non lascerò d’amare i libri se non quando mi lascerà il giudizio, il quale voi non avete avuto mai, non ch’egli vi sia venuto quando avete lasciato di amare i libri. Vedete dunque, oltre al ritratto della mia felicità presente, come io sono inettissimo a servir voi e le lettere in questo particolare e in altri tali. Quanta stima io faccia dell’Arici potete vederlo leggendo la bruttissima prosa ch’io misi innanzi alla Titanomachia d’Esiodo pubblicata mesi sono nello Spettatore.4 Nondimeno vi dirò sincera1 Ho già rilevato la ragion principale di questa persuasione del conte Monaldo, cioè l’affetto immenso ch’egli portava a questo suo figliuolo ed amico, e il non sapersene distaccare, in quanto sentiva che l’allontanamento di lui significava per il padre «averlo perduto» tuttora vivente. 2 Nella copia, forse por errore, era scritto «s’appone». 3 Nella copia era «saputello t. 4 Cfr. lett.!>3. p. 90, nota I. 10. - Leopardi. Epialolurlu. I.