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Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/180

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anno 1817 - lettere 91-93 147

ranno insieme. Il mio Mai vi saluta ben tanto. Io vi abbraccio con tutta l’anima; e vi prego di riverirmi il signor Padre, e ricordarmi a Carlino vostro. Addio, dulcissime rerum. Addio. Scrivetemi a Milano.

93. Dello stesso.

Milano 17 Decembre [1817].

Mio carissimo Giacomino, l’altro dí v’ho scritto del Senofonte, che iermattina spedii a Piacenza, perché di là venga inviato al libraio Sartorio d’Ancona. L’ho fatto comprare all’ottimo Mai; perché piú sicuramente foste bene servito. La stessa edizione hanno nell’Ambrosiana. Vedete ch’erano promessi due altri volumi, cioè indici, e altre ciarpe; i quali non sono mai usciti. Ma ne’ 4 si comprendono tutte l’opere. Il fatto è poi che a volere un Senofonte maneggiabile, e di tollerabil prezzo, non ce n’era altro.

Rispondo ora alla vostra carissima dei 5,1 che mi viene da Piacenza. E vi dico prima che io credo di star qui fino a pasqua; leggendomi quietamente diverse opere, che fuor di qui non potrei trovare. Quella vostra lettura, cosí distribuita, di classici greci, latini, italiani, mi piace infinitamente; purché sopra tutto abbiate cura della salute, che sopra tutto importa. Per amor di Dio, ve la raccomando, e temo sempre che non mi ascoltiate a bastanza.

Che altri vi tratti tuttavia da ragazzo, non s’accorgendo quale e quanto uomo siate già; e che altrove non si faccia nncora gran romore de’ vostri studi; pigliatelo ridendo. Non mancherà di venir tempo, e non tarderà molto che sarete conosciuto e predicato: né però sarete piú felice che ora; se non quanto saprete da voi stesso godere di voi stesso.2 Oh crediatemi Giacomino, che il mondaccio è pure una trista vanità. E non vi parlo come bigotto; ma come uomo.

M’avete messo in gran voglia di sapere qual sarà la solenne traduzione. e qual sarà il trattato cominciato e poi abbandonato. Oh scrivetemelo. Dell’epistola malinconica e del discorso sul poema epico3 penso lo stessissimo che voi. Pudet, pigetque. Ma del Poema vidi sei canti manoscritti, e mi piacquero grandissimamente. Discordo da voi in una cosa sostanziale; nella quale però vedo che con tutta la tenerezza di vostra età siete accortissimo politico: e va bene cogli uominacci: ma io che sono a rovescio del comune, non posso combinarmi colla comune prudenza: con me bisogna esser naturale. Voi dite che prima di amarmi come ora, notaste varie cose ne’ miei articoli sulla Pastorizia, e in altri: come voleste dire che ora amandomi più o non vorreste cercare i miei errori, o non dirli. Ma, caro Giacomino, credete voi che dieci, o venti, o cento errori letterarii mi facciano essere meno galantuomo, o anche meno valente uomo di quello che sono in realtà? È vero che è di molti il voler quasi parere infallibili: e però insegna la prudenza a non farsi accorto de’ loro errori. Ma quello parmi errore goffissimo. Non è l’errare, cioè il pensar male, che disonori; ma il non aver forza di pensare, lo anzi coi

e la 2a nel '20; il vol. III fu pubblicato verso la metà di aprile '19; il IV nell'aprile-maggio '21; il V nel luglio '21; il VI alla fine di giugno '24. - V. l'Epistolario di V. Monti, già citato.

  1. È al n. 91.
  2. Notabile e verace profezia, fatta con piena sincerità e convinzione.
  3. Dell'Arici. Cfr. lett. 91, ultimo paragrafo.