Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/250

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ANNO 181» - LETTERE 148-149 215 m’ha spiantato affatto, lasciandomi questi versi inediti,1 giacch’io voglio assai prima non esser letto ch’esser letto in questa sucida forma da fare scomparire qualunque composizione angelica non che mia. E voi potrete far conto che questa copia oh’io vi mando sia manoscritta, e quando abbiate significato qualche cosa al Monti, scusarmi con lui 2 se non do effetto al mio disegno, poiché, se voi non giudicate altrimenti, sono deliberato di non dovermi vergognare d’aver dato a leggere il suo nome cosi bruttamente scritto. Dei miei disegni intorno alla prosa italiana vi scriverò forse altra volta, se avrete pazienza di leggermi. Delle profferte che mi fate di scrivere in mia raccomandazione al Mai, e parimente di scrivere al Borghesi e al Perticari perché mi raccomandino al Mauri, non vi ringrazio per non mostrare o d’essermi aspettato meno dall’amor vostro, o di credere ch’io possa con qualsivoglia ringraziamento compensare il benefìzio. Mi chiedete il mio consenso, il quale è intero; e noi 3 dal canto nostro proccureremo di valerci de’ vostri uffici, e di secondarli colle pratiche che saranno convenienti. Non potete credere quanto io sia sconosciuto in Roma; e non dico di non meritarlo; dico bene che infiniti altri che lo meritano quanto me, sono senza paragone più noti e stimati e lodati e riveriti che non son io; la qual cosa non mi muove punto né mi dee muovere per se stessa, ma mi pregiudica in questo, ch’io non avendo nessuna fama, non ne posso cavare quelle utilità reali che ne cavano coloro che n’hanno, comunque se l’abbiano. Sicché non è dubbio che i vostri uffici non mi possano giovare assaissimo. Dite voi, non ci sarebbe il cardinale Mattei? non si potrebbe? non sarebbe facile? Se ci fosse volontà sincera ed efficace in uno solo di quelli che ci hanno in potere, certo che non sarebbe impossibile a noi quello ch’è facile a venti altri di questa medesima città, e a mille di questa provincia, che con sostanze e onestà di nascita e conoscenze molto ma molto inferiori alle nostre, si mantengono o mantengono i loro figli in Roma. In somma, solamente che avesse voluto chi dovrebbe volere,4 e non volendo dice agli altri ed anche a se stesso di non potere, è cosa palpabile che da gran tempo avremmo ottenuto il nostro desiderio. Ma non vogliono né vorranno mai se non quanto noi gli sforzeremo; 5 sono contenti di vederci in questo stato; in questo vorrebbero di tutto cuore che morissimo: si pentono 1 Non essendone finora state distribuite che pochissime copie, G. poteva ben dire i suoi versi i inediti». Cfr. lettera precedente, p. 213, nota 3. 2 Nella copia «appresso lui». 3 Intende di sé e del fratello Carlo. 4 Allude al padre; e anche alla madre; di fatti poco più sotto usa il plurale. 5 Altra vaga allusione alla fuga che G. doveva tentare in questo stess’anno.