Pagina:Leopardi - Epistolario, Le Monnier, 1934, I.djvu/255

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220 EPISTOLARIO ià.’i. A Giulio Pertica ri. - Roma.1 Reclinati 8 Fobbraro 1819. Stimatissimo signor Conte. M’è accaduto parecchie volte di parlare con persone che sapendo quanto ardentemente io desideri, non dico l’amicizia che dev’essere fra gli uguali, ma la conoscenza ognun vede quanto fosse accettabile nella sua stravagante concezione o vallitazione della storia) anche Giacomo. Di fatti, scriveva egli a Monaldo ai 10 di aprile, dopo la sua lettera dei 27 marzo a G. o dopo una risposta di questo che manca e che possiamo immaginare rispettosa ma evasiva: «Anco Giacomo, cui con lealtà feci conoscere quanto meglio impiegarebbe i suoi talenti scrivendo con eloquente prosa sui bisogni del tempo, piuttosto che far risuonare in versi i ripetuti lai sulla supposta degradazione d’Italia, se no 6 mostrato pienamente convinto». Ciò non gl’impedisco tuttavia di riconoscere che lo Canzoni avovan riscosso dagl’intenditori molti applausi; e poiché il conte Monaldo ili quegli applausi era assai preoccupato anziché inorgoglito, ecco che ai 22 maggio il cognato cerca come può di rassicurarlo: «Già scrissi, con la mia solita schiettezza, al vostro Giacomo, che le sue Canzoni avrebbero ottenuti noli’ Italia settentrionale quegli applausi, che non erano sperabili nella meridionale. Voi me ne date la conferma, e vi mettete, non senza ragione, in orgasmo per l’impressione che possono aver fatta sull’animo del Figlio gli esagerati encomi di malsani Encomiatori. [Che l’Antici avesse voluto particolarmente riferirsi a quelli del Giordani, che G. potè comunicare ai suoi?]. È un’evidenza per me, che non il pregio delle poesie, ma lo scopo delle medesimo (da cui ò affatto alieno l’animo o il cuore del Poeta) ha fruttato gli applausi di tanti liberali. Ma chi pili di voi è in dovere e in diritto di aprirgli gli occhi, o di fargli sentire che i talenti datigli da Dio deve egli intieramente consacrarli a combattere vigorosamente le tante idee rivoluzionarie che fatalmente appestano, più o meno, l’atmosfera morale e politica dell’Italia?». Qui il giusto intuito della portata politica delle duo Canzoni si mescola con l’ingenua credenza di poter fare di G. uno scrittore antirivoluzionario! L’Antici non aveva compresa l’evoluzione spirituale del suo grande nipote. E allorché Monaldo ebbe intercettata più tardi una focosa lettera di G. al Montani e l’ebbe comunicata all’Antici esprimendogli i suoi timori sull’indole e sulle possibili conseguenze di quelle odi, l’Antici scriveva: «Vi confesso che quella lettera scritta da Giacomo al Professore di Lodi, ed in quei termini, dopo le v ostre paterno e sagge animadversioni, mi sgomenta assai». E tristamente conchiudo: «Bisogna convenire pur troppo, elio il contagio del tempo è sommamente pericoloso, poiché le massimo più porverso sono vestite sotto forme leggiadro tanto, da far prevaricare anche i savi attempati». 1 Da una copia il’ignoto, rimasta in casa Leopardi dopo che Paolina, il 6 febbraio ’57, ebbe donata la minuta autografa alla contessa Laura Carradori. per porsona, com’ella annotò, «divotissima a ino e alla mia famiglia». Come parente dei Cassi, non fa maraviglia che G. pensasse, con l’invio delle sue Canzoni, di farsi conoscere e mettersi in relazione con questo nobile letterato, anch’egli cugino dei Cassi. Il conte Gin.io Perticari (1779-1822), passò la maggior parte della vita tra Savignano sua patria e Pesaro. Divenuto genero del Monti por averne sposato la figlia Costanza, aveva pubblicato ila poco, nel voi. I della Proposta montiana, il suo trattato Degli scrittori del trecento, a cui G. acconna in questa lettera. Può dirsi che questo scritto e l’altro che Io segui Dell’atnor ^xitrio di Dante rappresentino il meglio di lui, quantunque la sua dottrina non sia ben salda e un po’ troppo ricercate le eleganze