Pagina:Leopardi - Opere I, Le Monnier, Firenze 1845.djvu/32

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DI GIACOMO LEOPARDI. XXV loro nelle loro più segrete stanze e nei loro ricetti più occulti. La novità e la salubrità squisitissima dell’ aria, l’affettuosa compagnia di alcuni paesani, la visitazione continua e diversa di tutti i più dotti stranieri eh’ ivi abbondantemente capitavano, e quel suo nuovo vivere aperto e sciolto e al tutto fuori dell’ uso della sua abituale disposizione, parvero allentare, e forse allentarono effettivamente, per quattro lunghi anni, l’operosa e instancabile attività del malore. Egli riebbe miracolosamente l’ordinato esercizio di molte operazioni vitali che insino dalla prima infanzia aveva provate disordinatissime; e cominciò a pronosticarsi una vita delle più lunghe. L’efficienza malefica della natura cominciò a parergli, se non al tutto placata, almeno in parte assopita: e questo concetto, o vero o falso, l’avrebbe forse sostenuto ancora qualche tempo in vita, s’egli non si fosse presupposto, in un modo al tutto inopinato ed insanabile, che la pestilenza collerica ( ampliatasi allora in tutto l’occidente ) era fatalmente deputata o a rinna- sprirla di nuovo o a ridestarla. Era l’agosto del 36, quando, al primo ed ancora lontano annunzio del morbo, desiderò di ridursi nel suo casiuuccio all’aperto della campagna, donde non consentì di tornare a Capodimonte se non nel febbraio del 37. Quivi moltiplicarono i sintomi dell’ idropisia, come alla più aperta campagna erano moltiplicati i sintomi dell’elica. E parte la pestilenza, che nel verno parve dileguata del lutto, risorta assai più fiera e spaventevole nella primavera, rinnovò nell’egra fantasia i terrori d’un modo di morte incognito ed abbominoso,