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Pagina:Leopardi - Operette morali, Chiarini, 1870.djvu/122

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cogli Argonauti: ma con tutto questo non trovo come abbia a pesare meno di prima.

Atlante. Della causa non so. Ma della leggerezza ch’io dico te ne puoi certificare adesso adesso, solo che tu voglia torre questa sulla mano per un momento, e provare il peso.

Ercole. In fe’ d’Ercole, se io non avessi provato, io non poteva mai credere. Ma che è quest’altra novità che vi scuopro? L’altra volta che io la portai, mi batteva forte sul dosso, come fa il cuore degli animali; e metteva un certo rombo continuo, che pareva un vespaio. Ma ora quanto al battere, si rassomiglia a un oriuolo che abbia rotta la molla; e quanto al ronzare, io non vi odo un zitto.

Atlante. Anche di questo non ti so dire altro, se non ch’egli è già gran tempo, che il mondo finì di fare ogni moto e ogni romore sensibile: e io per me stetti con grandissimo sospetto che fosse morto, aspettandomi di giorno in giorno che m’infettasse col puzzo; e pensava come e in che luogo lo potessi seppellire, e l’epitaffio che gli dovessi porre. Ma poi veduto che non marciva, mi risolsi che di animale che prima era, si fosse convertito in pianta, come Dafne e tanti altri; e che da questo nascesse che non si moveva e non fiatava: e ancora dubito che fra poco non mi gitti le radici per le spalle, e non vi si abbarbichi.

Ercole. Io piuttosto credo che dorma, e che questo sonno sia della qualità di quello di Epimenide,<ref>Plinio, lib. 7, cap. 52. Diogene Laerzio, lib.