Pagina:Leopardi - Operette morali, Gentile, 1918.djvu/382

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Pag. 9, 6-7 - Cfr. OVIDIO, Met., I, 101 -6 : Ipsa quoque immunis rastroque intacta, nec ullis \ Saucia vomeribus, per se dabat omnia tellus ; | Contenlique cibis, nullo cogente, creatis, | Arbuteos fetus, montanaque fraga legebant, | Cornaque, et in duris haerentia mora rubetis \ Et quae deciderant patula Ioois arbore glandes. Pag. 9, 9 - Perchè « la nazione dei Californii » (come I* Autore postillava al v. 104 dell’ Inno ai Patriarchi), « per ciò che ne riferiscono i viaggiatori, vive con maggior naturalezza di quello eh’ a noi paia, non dirò credibile, ma possibile nella specie umana. Certi che s’affaticano di ridurre la detta gente alla vita sociale, non è dubbio che in processo di tempo verranno a capo di quest’ impresa ; ma si tiene per fermo che nessun’ altra nazione dimostrasse di voler fare cosi poca riuscita nella scuola degli Europei » (Scritti letter. II, 330). Pag. 9, 12 - OVIDIO, Met. I, 107 : Ver erat aeternum. Pag. 9, 16 - Cfr. invece l’opposto ufficio affidato da Giove a Mercurio nel mito di Protagora, in PLATONE, Prot. pag. 322 C. Pag. 9, 23 - Fantasmi non è detto, come è stato a torto creduto, «con amara ironia »: ma, come appresso (10, 15) maravigliose larve, qui son delti fantasmi le idee morali, che non hanno consistenza fisica, nè: a parere del L., hanno una razionale giustificazione nel mondo positivo dei fatti naturali e di quelle leggi universali, sotto cui l’uomo deve piegare: ma non sono perciò meno importanti ai fini della vita umana, nè meno degne di riverenza e di culto ad ogni animo bennato: quelle idee, che il L. chiamerà di solito illusioni, ma badando, all* occorrenza, ad avvertire: «Io non tengo le illusioni per mere vanità, ma per cose in certo modo sostanziali, giacché non sono capricci particolari di questo o di quello, ma naturali e ingenite essenzialmente in ciascheduno; e compongono tutta la nostra vita * Lett. del 30 giugno 1820; Epist., I, 279, Pag. 10,23 * Come che, invece di 'come per che*. Pag. 12, I - PETRARCA, canz. Ili, 49: « Lasso, se ragionandosi rin fresca | Quell’ ardente desio ». Pag. 12, 14-15 - Allusione alla nota leggenda di Pitagora, raccontata da Eraclide Pontico, discepolo di Platone, e che si ritrova in parecchi scrittori (ClCER. Tute. I, 3, 8, DIOG. Li. 12, Vili 8, QUINTILIANO Inst. Or. XII, I, 19 e CLEM. ALESS. Strom. I, 61, IV, 9) per cui Pitagora avrebbe sostituito per primo il nome di yikóvoyoi (amatore di sapienza) a quello di (sapiente) solito prima ad usurparsi superbamente dagli uomini aspiranti bensì alla conoscenza della verità, ma incapaci per natura di venirne in possesso : p.r,5tva yip tlvat TOfòv &v0pu>7tov, iXX’ 9) Octfv : nessun uomo, ma soltanto Dio essere sapiente. — 319 —