Pagina:Leopardi - Operette morali, Gentile, 1918.djvu/414

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Pag. 176,3 - Famoso (v. F. PERSICO, Due letti. Napoli, 1870; 3a ed. Firenze, Sansoni, 1900) il riscontro di questo luogo con quello dell’ultimo capitolo dei Promessi Sposi, dove si legge: «L’uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova sur un letto scomodo piú o meno, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello; e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s’è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire, qui una lisca che lo punge, lí un bernoccolo che lo preme: siamo a un di presso, alla storia di prima». Ma se il L. conchiude: «....finché venuta l’ora, senza essersi mai riposato, si leva» (dal letto? dalla vita?); il Manzoni invece: «E per questo,... si dovrebbe pensare piú a far bene che a star bene: e cosí si finirebbe anche a star meglio». Interno alle analogie e alle differenze dei due luoghi (oltre il Persico) L. MORANDI, Le correzioni ai Pr. Sp., Parma, Battei, 1879, pp. 301-25 e D’OVIDIO, La lingua dei Pr. Sp. 3, Napoli, Pierro, 1890, pag. 143. Per l’indipendenza reciproca dei due scrittori è stato giustamente notato che se il L. il 13 maggio 1827 aveva già corrette e rinviate allo Stella le bozze delle Operette, il Manzoni l’11 giugno dello stesso anno inviava all’amico Fauriel gli ultimi fogli dell’ultimo volume del suo romanzo. Del resto la similitudine della vita umana con la giacitura dell’infermo o di chi comunque non si trova mai nel letto a suo agio è comune a molti scrittori antichi e moderni (Arrigo da Settimello, Petrarca, M. de Polignac) ed è come naturalmente suggerita da una facile e proverbiale esperienza. Cfr. Della Giovanna a q. 1.

Pag. 176, 9 - «Qui fit Maecenas, ut nemo, quam sibi sortem | Seu ratio dederit seu fors obiecerit, illa | Contentus vivat, laudet diversa sequentes?»: ORAZIO, Sat. I, I.

Pag. 177, 13 - Identica osservazione nella lett. 28 genn. 1823 alla sorella Paolina. Su questo pensiero LOSACCO, Contributo, pag. 122; L. e Maupertuis, pag. 9.

Pag. 178,3 - Gli stoici sopra tutti: del resto, come scriveva lo stesso L. nello Zibald. V, 1-2, il 21 giugno 1823: «È massima molto comune tra filosofi, e lo fu specialmente tra’ filosofi antichi, che il sapiente non si debba curare né considerar come beni o mali, né riporre la sua beatitudine nella presenza o nell’assenza delle cose che dipendono dalla fortuna, quali che esse si sieno, ma solo in quelle che dipendono interamente e sempre dipenderanno da lui solo». La pagina che segue nello Zibaldone è il primo abbozzo di questo detto dell’Ottonieri.

Pag. 178,6 - Zibald. I, 181-2: «Beati voi se le miserie vostre | Non sapete. — Detto, per esempio, a qualche animale, alle api ecc.». Cfr. il Canto notturno del pastore, 105.