Pagina:Leopardi - Paralipomeni della Batracomiomachia, Laterza, 1921.djvu/47

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appressamento della morte 37

     E ’l duro vento col petto rompea,
65che gocce fredde, giú per l’aria nera
soffiando, sopra ’l volto mi spignea,
     E ’l tuon veníami ’ncontra come fera
rugghiando orribilmente senza posa,
e cresceva la pioggia e la bufera.
     70E ne la selva era terribil cosa
il volar foglie e rami e polve e sassi,
e ’l rombar che la lingua dir non osa.
     I’ non vedeva u’ fossi ed u’ m’andassi:
tant’era pien di dotta e di terrore
75che non sapea piú star né mover passi.
     Era ’l balen sí spesso che ’l bagliore
s’accendea sempre e mai non era spento,
perch’al fine i’ ristetti a quell’orrore,
     e mi rivolsi indietro; e ’n quel momento
80si stinse ’l lampo e tornò buia l’etra
ed acquetossi ’l tuono e stette ’l vento.
     Taceva ’l tutto, ed i’ era di pietra
e sudava e tremava che la mente,
come ’l rimembra, per l’orror s’arretra;
     85e ’l palpitar si facea piú frequente:
quando, com’astro che per l’aer caggia,
un lume scese e fémmisi presente.
     Splendeva in quella tenebria selvaggia
sí chiaro che vincea vampa di foco,
90qual fornace di notte in muta piaggia,
     e splendendo cresceva a poco a poco;
e ’n mezzo vi pareva uman sembiante
vago sí ch’a ’l ritrar mio stile è roco.
     Ed i’ tremava dal capo a le piante,
95ma pur dolcezza mi sentia nel petto
in levar gli occhi a quel che m’era innante.
     Bianco vestia lo Spirto benedetto,
raggiante come d’espero la stella,
e avea ’l crin biondo e giovenil l’aspetto.