Pagina:Lettera al canonico Giuseppe Ballario.pdf/6

Da Wikisource.
6
 
 


il più piccolo soffio di vento; tal altra bisognava calar le vele e legar il timone per non pericolare perchè infieriva qualcuna delle tempeste del luogo e del tempo.

Il cabino, della dimensione d’un metro e mezzo cubo, era il ricettacolo per quattro persone; e bisognò quasi sempre starci dentro perchè fuori pioveva, e tenere chiusa la buca d’ingresso e ventilazione, perchè altrimenti vi pioveva dentro; e non star in piedi perchè la testa toccava il soffitto; mangiare, dormire ed il resto per 22 giorni quattro persone in un tale buco! Che odore, accresciuto da quello della materia rigettata pel mal di mare! Ma questa è cosa inevitabile per chi vuol viaggiar per mare ed in luoghi ove nessuno è solamente viaggiatore; ed io aveva maggior motivo di sopportar ciò lietamente in compenso della tentazione sovra accennata.

Soppravvenne però cosa più grave. Il Capitano sbagliò il suo calcolo delle distanze percorse e da percorrersi benchè avesse sempre le carte idrografiche ed il compasso in mano e gli occhi sulla bussola. La notte del 12 al 13 conobbe un po’ tardi il suo errore. Verso sera io uscii un momento sul ponte e diedi, come faccio sempre, uno sguardo intorno a tutto l’orizzonte. Mi parve di scorgere all’estremità dove eravam diretti una linea oscura ed indefinita. «Mi sembra che colà si scorga terra,» dissi: «No, no, rispose il piloto, non è possibile.» A destra a Nord Ovest vidi anche in grande lontananza un oggetto, che col cannocchiale ci accertammo essere un vascello a vela: ma non potemmo scorgere a quale parte fosse diretto. Tutto il resto non era che un elevarsi ed un sobissarsi di montagne acquee, pioveva, il vento soffiava impetuoso, i flutti ergevansi come indomiti cavalli sul nostro corso, ed urtandosi rompevansi con fragore e spumanti. Il nostro vascello guizzava a balzi colla velocità del vapore, ed urtando i flutti, scuotevasi e scrosciava nella sua connettitura finchè non fu del tutto notte. Tale vista aveva il suo sublime e non spiaceva; ma quando fu del tutto notte, il sibilo del vento, il rumore delle onde, le scosse del vascello, il fosforeggiar dell’acqua spumante intorno al vascello che la solcava con violenza, come se fosse stata cosparsa di zolfanelli, era bastante ad infondere terrore. Mi rintanai nel cabino con un involontario presentimento di qualche malanno. Se si rompesse un cordaggio, della maniera che correvamo ed in tale burrasca! se si stracciasse una vela! se quel vascello che vedemmo in lontananza venisse a tagliar il nostro corso e l’incontrassimo, urtassimo nell’oscurità! se quella linea oscura che vidi in lontananza fosse qualche cosa di reale e ci spingessimo contro!

Nemmeno la preghiera non valse a tranquillarmi: lo spirito è pronto ma la carne è inferma. Non poteva dormire. Ad ogni urto di flutti il vascello gemeva come se avvertisse di pericolo. Se si sfiancasse! se si rompesse una costa! Io non poteva dormire. La mezzanotte era passata, la burrasca continuava. Tutto d’un tratto s’ode l’allarme a bordo, quindi un gridare di