Pagina:Lettere (Andreini).djvu/28

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D’ISABELLA ANDREINI. 2

ancor parlare, che quanto à me, sì come sò di saper tacere, così ancor sò, ch’io non sò nulla dico bene, che non mi pare d’haver errato affatto, se conoscendo di poter facilmente tacere, e difficilmente parlare, hò eletto il silentio. La vostra dottissima lettera, richiedeva, e ’l mio gran desiderio mi spronava, ch’io rispondessi, con tutto ciò sarei stata poco accorta s’havessi voluto, o bene, o male inconsideratamente formar risposta, non si dee parlar prima, e pensar poi, hora ch’hò pensato vi risponderò, ma che dich’io? quando ancora molto bene pensassi e ripensassi, non potrei mai à tanti capi, e tutti elegantissimi sodisfare. Nella vostra lettera si contengono cose tali, che ognuna d’esse basterebbe per tener isvegliata l’ignoranza mia un anno senza far alcun profitto. brevemente dunque m’ingegnerò di risponder alla somma, e non à particolari, come la Natura m’insegnerà, laquale non per altro m’imagino io ci hà dato duo occhi, due orecchie, & una lingua, che per farci conoscere, che dobbiamo vedere, & udir assai, e parlar poco. La somma di quanto mi scrivete, è, che non desiderate cosa più che parlarmi, à che rispondo, che, se Dedalo non vi presta l’ali egli è impossibile, che v’accostiate a me senz’esser da miei parenti sentito. Se voi col giuditio vostro sapete trovar modo opportuno, e commodo, io per vostra soddisfattione ne rimarrò contentissima. Frà tanto Iddio vi dia quel contento, ch’io desidero, e che non posso darvi.


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