Pagina:Lettere e testimonianze dei ferrovieri caduti per la patria, 1921.djvu/6

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secondo. Alla Malpensa si piazza come brillante pilota e potrebbe rimanervi istruttore. Ma non è questo il suo scopo; vuol servire in guerra; non ha pace finché non riesce a farsi trasferire in una squadriglia d’osservazione nel cielo del Montello. Quando poi c’è, nemmeno gli basta. È zona attivissima e battuta; ma ancora non si sente soddisfatto; c’è un altro passo avanti da fare: il Nieuport, il «Caccia». Lo ha preso l’ebbrezza del volo più audace. Lo scriveva fin dalle prime prove:

23 Aprile ’17. «Sono salito a un po’ d’altezza; ivi l’aria è più leggera e la respirazione più conveniente. Tutto trasporta alle buone emozioni e alla matta soddisfazione di salire.

Io sono matto sapete? Tutti i piloti son matti, e perchè io non lo dovrei diventare? Già lo son sempre stato.

Un uomo calmo, un uomo che riflette passo per passo, non potrà mai essere eroe.

L’uomo, se è un uomo, non deve mai crucciarsi: se ha le fibre robuste sostiene le lotte morali e materiali, ma se anche le fibre son deboli, deve sopportare la lotta morale che è il fondamento della vita.

Chi sa rendersi ragione dei casi della vita vivrà cento anni.

Non ascoltare le prediche che vengono dal pulpito: il male all’inferno, il bene in paradiso. Sono immaginazioni dell’anima altrui che cerca di corrompere quella del prossimo.

Ma l’immaginazione deve essere una sola, la nostra. Mai scimmiottar gli altri per sperare. La speranza deve essere la speranza formata dal proprio corpo; dallo spirito stesso. L’uomo che è padrone di sè non avrà mai da lamentarsi. Io non credo nè a Dio nè ai demoni. Unica credenza la mia volontà».

Dalla squadriglia chiede ancora al fratello raccomandazioni per esser trasferito e abilitato al pericolo maggiore: sempre il Nieuport, il «Caccia». «Vedrai le mie gesta». Ma pochi giorni dopo la lettera, in un azzardoso volo di ricognizione al quale si era offerto volontario, col suo Capitano a bordo, è