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ACCADEMICHE. 55

di benemerito? Certo null’altra, fuor che la fama d’un nome trionfale, e il concetto d’un valor grande, quale per tanti anni abbiamo sentito dalla marzial Germania, e dall’Europa tutta, nella persona dell’invitto Piccolomini celebrarsi.

Ma io temo, Degnissimo Arciconsolo, Virtuosissimi Accademici, che nel progresso poi del discorso questo mio ragionamento sia piuttosto per dimostrarvisi, con apparenza d’invettiva satirica, che sotto specie d’encomio onorato, e favorevole per la fama. Certo è ch’io mi sforzerò di provare la fama dopo morte esser nulla, e per tutti i rispetti umani inappetibile. Insieme pretenderò, che dopo l’ultime esequie, tutti gli uomini sieno per divenir egualmente famosi. Sospendete di grazia le vostre giustissime riprensioni. Non è già vero, che simil proposizione debba atterire quelli, i quali lodevolmente operando, sono incamminati per la strada della virtù verso la gloria, anzi confido piuttosto sia per inanimirgli, e per affrettargli, acciò con isforzo anco maggiore, proccurino di conseguir i frutti della fama, mentre vivono, se però sarà vero, che la fama sia viva a i vivi, e morta a i morti.

Primieramente porterò l’argomento comune del volgo. Non è dubbio, che le cose, le quali non si sentono, e non si sanno, non possono immediatamente apportare, ne danno, ne giovamento alcuno. E che giovano adesso a me negli ardori della state, i freschi dell’aeree montagne di Norcia mentre per tante miglia remoto da esse mi ritrovo? Quanto mi furono giovevoli, già in tempo, ch’io dimorai su quell’Alpi col vostro dottissimo, e famosissimo Ciampoli, altrettanto mi sono disutili adesso, quand’io non ne partecipo più effetto, o porzione alcuna.

Credo pure, che questo punto sia per esser ammesso senza controversia, cioè, che molto meno altri debba curarsi in vita delle cose, che seguiranno dopo la sua morte, in tempi remoti, che di quelle, le quali vivente lui si fanno in paesi lontani. Mi par dunque, che colui il quale s’affatica per la fama futura, faccia l’istesso, che farei io, se con faccende, e vigilie indiscrete stando in Firenze, procurassi, o l’inondazione del Nilo in Egitto, o la serenità del Cielo nella China; cose che per esser sommamente remote da me, quand’ancora io le conse-


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