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non lieve speranza, ma ora non sento nell’ultima sua cenno di confermazione; anzi, per quelche intendo nell’altra sua scritta al Padre Reverendissimo Castelli ed a me mandata aperta, ritraggo pochissimo, o niente di vivo rimanere in tal mia speranza. Non voglio, ne debbo cercare di ritardare sì buoni incontri ed avvenimenti, che meritamente doverebbono costì succedere al valor suo, tanto sopra le comuni scienze elevato, ma bene gli dirò con sincero affetto, che forse anco quà sarebbe riconosciuto il merito del suo ingegno peregrino, ed il mio basso tugurio non gli riuscirebbe peravventura ospizio men comodo di qualcuno de i molto sontuosi; perche son sicuro, che l’affetto dell’Ospite non lo ritroverebbe in altro luogo più fervente, che nel mio petto, e so bene, che alla vera virtù, piace questo sopra ogni altro comodo. Gli scriveva anco la grande stima, che faceva, e fo, degli altri suoi trovati, de’ quali mi mandò le conclusioni, ma di tutto mi riserbava, come ho detto, a trattarne seco a bocca, come anco di conferirli alcune mie reliquie di pensieri mattematici, e fisici, per potere col suo ajuto ripulirgli, sicchè meno imbrattati, potessero lasciarsi vedere coll’altre mie coserelle. Mando questa sotto una del Sig. Nardi, dal quale ella la riceverà, insieme colla dimostrazione di quello, che io supponeva nell’ultimo mio Dialogo, come principio conceduto, vedanla insieme, e l’emendino, comunicandola anco al terzo mio riverito padrone il Sig. Magiotti, ed a tutto il triunvirato con reverente affetto bacio le mani.

Si risolvè finalmente il Torricelli, nel veder questa lettera, di venire a Firenze, dove giunse nel princi-


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