56. Ciò detto, parte: e quei, ch’era uomo esperto
(Essendo stato cavallaro, e messo),
Al cavaliere ad unguem fa il referto
Di quel che Martinazza gli ha commesso.
Ed in viso vedendolo scoperto,
Quest’ha bisogno, dice, d’un buon lesso1;
Perch’egli è duro, e non punto pupillo2:
Lo conosco bensì, gli è Calagrillo. 57. Ma qui la dama e Calagrillo resti;
Quest’altro giorno rivedremgli poi.
Il passo meco ora ciascuno appresti
Per giungere il Fendesi e gli altri duoi,
Che seguitaron, come voi intendesti,
Perlon che se n’andò pe’ fatti suoi;
Chè troveremgli, se venir volete,
Più presto assai di quel che vi credete. 58. Chè giò giò3 se ne vanno giù nel piano
Sbattuti, com’io dissi, dalla fame:
Ma non son iti ancora un trar di mano,
Che senton razzolar tra certo strame;
Perciò coll’armi subito alla mano
Corron dicendo: qui c’è del bestiame;
Sicchè quando crediamo di trar minze4,
Il corpo forse caverem di grinze.
↑St. 56. D'un buon lesso D’una buona lessatura, di bollir molto. È quel che dicesi, un osso duro. (Nota transclusa da pagina 235)
↑Non è un pupillo. Non ha bisogno di tutori, chè sa far bene i fatti suoi da sè. (Nota transclusa da pagina 235)
↑St. 58. Giò giò. Adagio adagio. (Nota transclusa da pagina 235)
↑Trar minze. Stentare, morire. (Nota transclusa da pagina 235)