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quinto cantare 181

56.
Ciò detto, parte: e quei, ch’era uomo esperto
(Essendo stato cavallaro, e messo),
Al cavaliere ad unguem fa il referto
Di quel che Martinazza gli ha commesso.
Ed in viso vedendolo scoperto,
Quest’ha bisogno, dice, d’un buon lesso1;
Perch’egli è duro, e non punto pupillo2:
Lo conosco bensì, gli è Calagrillo.
57.
Ma qui la dama e Calagrillo resti;
Quest’altro giorno rivedremgli poi.
Il passo meco ora ciascuno appresti
Per giungere il Fendesi e gli altri duoi,
Che seguitaron, come voi intendesti,
Perlon che se n’andò pe’ fatti suoi;
Chè troveremgli, se venir volete,
Più presto assai di quel che vi credete.
58.
Chè giò giò3 se ne vanno giù nel piano
Sbattuti, com’io dissi, dalla fame:
Ma non son iti ancora un trar di mano,
Che senton razzolar tra certo strame;
Perciò coll’armi subito alla mano
Corron dicendo: qui c’è del bestiame;
Sicchè quando crediamo di trar minze4,
Il corpo forse caverem di grinze.

  1. St. 56. D'un buon lesso D’una buona lessatura, di bollir molto. È quel che dicesi, un osso duro. (Nota transclusa da pagina 235)
  2. Non è un pupillo. Non ha bisogno di tutori, chè sa far bene i fatti suoi da sè. (Nota transclusa da pagina 235)
  3. St. 58. Giò giò. Adagio adagio. (Nota transclusa da pagina 235)
  4. Trar minze. Stentare, morire. (Nota transclusa da pagina 235)