Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/168

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162 iii - rime

xxiii

[Mancando la speranza, cresce il dolore ed è desiderabile la morte.]


     Io sento crescer piú di giorno in giorno
quell’ardente desir che il cor m’accese,
e la speranza giá, che lo difese,
mancare, e insieme ogni mio tempo adorno;
     la vita fuggir via senza soggiorno,
Fortuna opporsi a tutte le mie imprese,
onde a’ giorni e le notte indarno spese
non senza nuove lacrime ritorno.
     Però il dolor, che m’era dolce tanto,
e ’l lamentar suave, per la spene,
che giá piacer mi fe’ sospiri e pianto,
     mancando or la speranza, alfin conviene
cresca, e ’l cor resti in tanta doglia affranto,
tal che sia morte delle minor pene.


xxiv

[Seguirá il suo triste fato, tranne che la sua donna o morte non gli facciano volgere cammino.]


     Que’ begli occhi leggiadri, ch’Amor fanno
poter e non poter, come a lor piace,
m’han fatto e fanno odiar sí la mia pace,
che la reputo pel mio primo affanno.
     Né, perch’io pensi al mio eterno danno
ed al tempo volatile e fugace,
alla speranza ria, vana e fallace,
m’accorgo ancor del manifesto inganno.
     Ma vo seguendo il mio fatal destino;
né resterò, se giá madonna o morte
non mi facessin torcere il cammino.
     L’ore della mia vita o lunghe o corte
a lei consecrate ho, perché ’l meschino
cor non ha dove altrove si conforte.