Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.2, Laterza, 1914.djvu/232

Da Wikisource.
226 xv - canzoni a ballo

     Disse mi volea parlare
di tal cose, ch’arei caro:
com’io lo stetti ascoltare,
non pote’ far piú riparo;
e risposi tutto chiaro:
— Trar ti vo’ di questa noia;
io non vo’ che per me muoia:
ecco io sono apparecchiata. —
     Onde che stanotte venne
per un luogo molto strano;
s’egli avessi avuto penne,
era troppo a venir sano;
e ne venne a me pian piano,
dove io ero in sul mio letto...
S’io dicessi il gran diletto,
so da te sare’ invidiata.
     Tanto ci stemmo a quel modo,
che alfin fu contento e sazio;
mentre lo racconto, io godo:
pur mi parve un brieve spazio.
Madre mia, io ti ringrazio
del ricordo che mi desti,
perché mai cosa facesti,
che a me fussi piú grata. —
     Donne mie, pigliate esemplo
da costei, che seppe fare:
ché, se ’l vero ben contemplo,
Chi può far non dé’ tardare;
perché spesso l’indugiare
fa scoprir cose secrete:
fate, mentre che potete,
ch’altri poi non è lasciata.